MIA Photo Fair, Milano. Alfred Drago Rens, artista italo-olandese classe 1970, ci racconta lo stand della Galleria L’Affiche di Milano, interamente dedicato alla sua coinvolgente poetica creata a partire dalla fotografia.
>> La galleria presenta solo tuoi lavori per questa edizione di MIA, ci descriveresti i progetti esposti?
“Il primo progetto è Le Jardin Retrouvé, un lavoro -a cura di Jacqueline Ceresoli- sulla riscoperta della parte più viscerale dell’anima. E’ un lavoro di 10 anni fa, dell’epoca pre instagram, non editato o post-prodotto: ho innestato sulle mie mani diversi fiori e piante, regalati, trovati e comprati dal fioraio e poi li ho fotografati dando vita a queste sequenze.
Non sono assolutamente un fotografo, mi limito a lavorare con la fotografia: questo è l’unico dei miei progetti in cui io stesso ho scattato le fotografie che vedi esposte, sono scatti semplici, che chiunque potrebbe fare con un cellulare. Un altro nome del progetto è Apollo e Dafne: l’opera è un lavoro sul genere femminile (rappresentato dalla mano destra) che viene immortalato dalla mano sinistra, la parte maschile, con un flash molto violento. Un percorso di ricerca tra maschile e femminile, tra debolezza e forza.
I restanti lavori si incentrano sul tema dell’attenzione, partendo da delle foto trouvé di fotografi dilettanti comprate nei mercatini, ritrovate negli armadi o nei cassetti. Sono foto che si sono perse nella memoria e nel tempo a cui io voglio restituire un significato. Il mio compito è quello di estrapolare dall’oblio e dalla loro storia le fotografie, ridando loro un contesto che è in parte “deciso” da me ma nella gran parte sta in chi le guarda. L’escamotage della tridimensionalità, dell’effetto optical, costringe ad avvicinarsi all’opera e a prestarle attenzione in ogni suo dettaglio.
L’ultima serie esposta propone le foto trouvé originali e integre affiancate a delle foto di archivio molto banali, foto di pubblicità, foto do foto che si trovano tra i desktop proposti dai pc. Anche nel banale secondo me si può trovare qualcosa di interessante; la foto trovata messa in relazione con la foto di archivio prende tutto un altro significato. Ad esempio in “Tornado” mi è venuto istintivo accostare subito l’abito della sposa, così fiera, alla perturbazione bianca che spicca al centro della foto satellitare.
Sicuramente quello che emerge dai lavori è la mia mania di collezionare. Oltre ad essere collezionista di illustrazioni grafiche ho la tendenza a raccogliere e tenere tutto ciò che posso, ad esempio le mie foto trouvé. Il concetto di collezione come forma d’arte a sé è molto attuale: un oggetto all’interno di un contesto prende sicuramente un significato diverso rispetto all’oggetto preso di per sé. Amo collezionare e amo mettere le mie stesse opere insieme, come dimostrano le mie quadrerie.”
>> Come avviene la creazione dei tuoi lavori? Come accosti le varie immagini tra di loro?
“Il mio lavoro è libero nella creazione, quello che faccio e che mi impongo di fare è sempre di non pensare niente prima: il lavoro lo spiegherò poi dopo, sia a me che allo spettatore. Mentre creo mi devo “dimenticare a memoria” di quello che sto facendo, è un lavoro di precisione, quasi zen.”
>> Come vivi il rapporto con la galleria? Credi che sia importante per un artista come te avere un gallerista alle spalle?
“Inizialmente il lavoro era privato e nascosto, la fortuna è stata quella di incontrare il mio gallerista 15 anni fa e di cominciare a tessere un rapporto di scoperta e stimolo reciproco -non senza litigi- ma con grandi scommesse davanti a noi. Il rapporto che si è creato con il mio gallerista è come un matrimonio a tutti gli effetti, ci sono lati positivi e negativi: è un lavoro piccolo e lento, da seguire e far crescere quotidianamente. Non credo nel collezionista che ti cerca e ti dice “faremo grandi affari assieme”.”
>> Quando all’inizio mi hai parlato di foto trouvé la mia testa ha pensato per un attimo a Breton e agli objet trouvé surrealisti. C’è un’ispirazione?
“Veramente no, odio il surrealismo con tutte le mie forze (ride), mi sorprende che tu ci abbia pensato. Comunque se davvero è quello che ti ha suscitato il mio lavoro allora potrebbe esserci in me una parte più inconscia che -da persona iper razionale che sono- ho voluto negare ma che evidentemente è emersa e ti ha fatto vedere, ad esempio, nel mio lavoro con il piatto e le fotografie, qualcosa di simile a Breton.
É sempre bello sentire cose nuove e sapere quello che la gente pensa vedendo i miei lavori. Spesso mi spaventa, perchè molti si proiettano interamente nell’opera e a volte ne tirano fuori interpretazioni lontanissime da quella che è la mia, ma nella maggior parte dei casi l’osservatore finisce per arricchire anche me.”