A Ca’ la Ghironda Modern Art Museum 30 incisioni realizzate da Rembrandt fino al prossimo 2 aprile 2018.
Era tempo che si dedicasse all’arte grafica una mostra importante a testimoniare quella religione del segno che ha caratterizzato la poetica di grandi artisti nel corso della storia. E le incisioni di Rembrandt, che non verrà mai in Italia, ma conoscerà le incisioni del Mantegna e del Barocci, approdano a Ca’ la Ghironda Modern Art Museum.
A cura di Vittorio Spampinato e Walter Marchionni, un suggestivo percorso che fa luce sulla straordinaria capacità tecnica dell’artista olandese che muore nel 1669. Rembrandt Harmenszoon van Rijn, grande interprete del ritratto e dell’autoritratto, creatore di una espressione stilistica alimentata da una riflessione puntuale, una osservazione attenta, una rara azione introspettiva ed empatica.
Rembrandt, sublime interprete anche di quell’arte incisoria a torto considerata, troppo spesso, arte minore con il celebre maestro del ‘600 l’incisione diventa lo specchio di una arte sopraffina, di un linguaggio elegante dove i contrasti fra luci ed ombre assumono un carattere ancora più forte e incisivo della sua stessa pittura. E le sue opere si fanno mistero. Opere dove la certezza del gesto, la forza e insieme la leggerezza del segno sono gli elementi che fanno la differenza in un contesto che si nutre di quella voglia di lasciare traccia di sé attraverso il segno.
Come un solco nella terra che l’artista anela ritrovare nella stampa in modo speculare, o come il desiderio di un bambino che inizia a scarabocchiare e lascia traccia di sé come prolungamento della mano, aspirazione che diviene il motore di un modo di fare arte con la voglia di “purificare il segno”, come ci aveva detto Gaetano Carboni, pittore e incisore di vero talento, artista che non ha avuto in vita la fortuna che meriterebbe.
Incisori non ci si improvvisa, ed è questo che rende straordinaria ed affascinante questa arte che deve riappropriarsi del suo orgoglio in un tempo in cui l’arte ha bisogno di qualcosa di (in)credibile. Ed è allora che le trenta opere in esposizione, suddivise nei cicli “L’immagine” e “Il Sacro,” ci appaiono contemporanee, lungo un sentiero cronologico che conduce nel mondo, nella storia di uno dei più grandi interpreti dell’arte incisoria. E una acquaforte del 1636, “Autoritratto con Saskia” ci consegna una figura femminile, quella della moglie dell’artista, che appare in secondo piano e il segno scuro e deciso, evidenziato dalla morsura, conferisce alla figura di Rembrandt un carattere dominante.
Ancora una acquaforte per un autoritratto del 1642 (circa), “Rembrandt con cappello morbido e abito ricamato”, un lavoro in cui non compare alcuno sfondo, dove l’artista, che amerà rappresentarsi sempre in modo diverso nelle centinaia di autoritratti che ci ha lasciato, ci appare vestito in maniera semplice, privo di orpelli decorativi. La straordinarietà e la qualità dell’arte incisoria rembrandtiana emerge, ancor più, dalle opere in cui la tecnica dell’acquaforte si combina con la puntasecca.
Nel “Ritratto di Jan Uytenbogaert, il pesatore d’oro”, un’ opera dal perfetto traliccio compositivo in cui gli equilibri formali della scena assumono maggior forza proprio in virtù delle aggiunte di puntasecca che, come suggerisce la scheda inserita nel catalogo arricchito da una complessa indagine sul lavoro di Rembrandt incisore, esaltano l’effetto chiaroscurale, conferendo volume e raffinatezza ad alcuni elementi della composizione, ricca e particolareggiata.
Il “Ritratto di Clement de Jonghe, venditore di stampe”, un’opera del 1651 nota in sei stati, (e ogni volta nasce un’opera unica), differenziati tra loro non per struttura compositiva ma per alcuni particolari, realizzata, insieme all’acquaforte e puntasecca, con la tecnica del bulino che ha permesso di produrre delle linee molto sottili. Minuziosa la descrizione del personaggio ritratto frontalmente, avvolto in un ampio mantello ci appare sicuro di sé e della sua posizione sociale, lo sguardo rivolto all’osservatore, in testa un grande cappello. Il trionfo e l’alternanza dei chiaroscuri, poi la luce di uno spazio bianco attraversato da grafismi appena sussurrati.
Ecco l’incisione divenire linguaggio in cui entrano in gioco le potenzialità di una matrice, gli strumenti con cui si arriva a impressionarla per consegnare il compito finale alla stampa, alla carta, all’inchiostro che riempie la traccia. Il gesto dell’artista che produce un segno incavato sulla lastra e quando il gesto è affidato alla puntasecca e al bulino, tecnica amata anche da Pablo Picasso, il risultato nasce dalla sola pressione della mano senza l’intervento dell’acido.
Un gesto primario ora più lieve, ora più vigoroso a produrre alternanze di luce e nessuna incertezza è concessa. Un gesto che non può essere ripensato e richiede grande perizia tecnica, il traballio della punta, come scrive nel 1988 Renato Bruscaglia, verrebbe inevitabilmente registrato in versione grafica.
Nel percorso espositivo di Ca’ la Ghironda una acquaforte, puntasecca e bulino per una suggestiva opera del 1657, (circa), lavoro di una straordinaria resa plastica: il “Ritratto di Abraham Francen, farmacista”, quasi una partitura musicale dal tratto particolareggiato e dal ritmo serrato, “risonanze nere senza ipocrisia”. E c’è una “Diana al bagno”, una Acquaforte del 1631 (circa), figura che si offre allo sguardo attraverso una imperfezione estetica che si allontana dai canoni della bellezza perfetta di matrice rinascimentale.
Poi i volumi di una acquaforte intitolata “I musicisti ambulanti”, un’opera “leggera” che cattura, figure che agiscono nello spazio, lavoro che descrive l’aspetto umano, la tenerezza degli umili, un cagnolino al guinzaglio per una scena che ha il ritmo della fotografia tradotta attraverso il segno. Una serie di nudi maschili, un nudo di donna disteso e il segno come archè, come principio e l’incisione è per Rembrandt il medium che accoglie la passione, guida alla conoscenza del mondo, dell’animo umano e del sacro.
Una straordinaria “Deposizione dalla croce”, un’opera del 1633, una scena di complesso equilibrio formale, realizzata in seconda lastra, come indica la scheda descrittiva, con Johannes van Vliet, che rimanda ad una dimensione tra cielo e terra, fra carne e spirito. Una dimensione che traspare anche dall’opera “La morte della Vergine”, una acquaforte e puntasecca di grandi dimensioni, le maggiori eseguite dall’artista: mm 410×325 (foglio), mm 386×309 (inciso).
Ancora un lavoro che abbraccia l’umano e il divino attraverso il segno, una piccola lastra dalla efficace resa: il “Gesù crocifisso fra due ladroni”, il pathos di un ovale che racchiude il dolore delle donne per la morte di Cristo, il limite di spazio che sembra voler contenere il dolore, quasi a volerlo trattenere per offrirlo al cielo. L’intera opera incisoria di Rembrandt ci offre il nero dei segni fitti e ravvicinati e insieme c’è la luce, il chiarore come alba di un domani. Così in “San Gerolamo in meditazione nella cella” quando una piccola luce irrompe nel buio della scena, così ne “La resurrezione di Lazzaro” e la luce irradia gran parte della scena.
Rembrandt come guerriero della luce che ha saputo comunicare col bianco e nero come solo i poeti sanno fare. Incisore nel nome del segno, fra “esprit de finesse” ed “esprit de geometrie” per una indagine sull’uomo tra umano e divino. “Nulla die sine linea”, la mano, la mente il cuore. Il segno eterno di uno come Rembrandt.
Informazioni utili
Rembrandt – Incisioni
Dal 25 febbraio al 2 aprile 2018
Ca’ la Ghironda Modern Art Museum, via L. Da Vinci, 19, Zola Predosa BO