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Sgarbi replica agli artisti di Palermo: no diktat, solo “democrazia dei valori estetici”

Vittorio Sgarbi Vittorio Sgarbi
Vittorio Sgarbi
Vittorio Sgarbi

Vittorio Sgarbi replica alla lettera aperta degli artisti Alessandro Bazan, Francesco De Grandi e Fulvio Di Piazza e dei curatori Alessandro Pinto e Sergio Troisi pubblicata ieri da ArtsLife. Mai “aut/aut”, sempre “et/et”

Non era trascorsa neanche un’ora dalla pubblicazione del nostro articolo, che ieri sera dava spazio alle voci degli artisti Alessandro Bazan, Francesco De Grandi e Fulvio Di Piazza e dei curatori Alessandro Pinto e Sergio Troisi, che ricostruivano la polemica nata con Vittorio Sgarbi attorno alla mostra La scuola di Palermo a Palazzo Riso di Palermo, che l’irruento critico ci ha chiamati per affidarci la sua replica. E come prima cosa ci ha chiesto proprio questo: di non parlare di “polemica”, visto che per lui non c’è motivo di alzare i toni di vicende che – a suo dire – rientrano in normali dinamiche amministrative. I termini generali della questione li abbiamo tratteggiati ieri, e li potete rileggere qui: queste le dichiarazioni di Vittorio Sgarbi…

Il titolo dell'articolo di Vittorio Sgarbi sul Corriere dedicato alla mostra della Scuola di Palermo
Il titolo dell’articolo di Vittorio Sgarbi sul Corriere dedicato alla mostra della Scuola di Palermo

La galleria di palazzo Riso ha una direttrice,Valeria Livigni, aperta e intelligente. La direttrice, per le politiche culturali, dialoga con il suo assessore, io, contrariamente a quello che scrive Paola Nicita, non ex, ma in carica fino al 5 di aprile (come concordato, dopo le mie dimissioni, con il presidente Musumeci); e io ho voluto fortemente, fra le altre, la mostra sulla scuola di Palermo, come ho scritto nella introduzione del catalogo, ricordando Alessandro Riva, il primo critico che diede ordine e identità a quei pittori, che hanno ora la loro consacrazione ufficiale, dopo che li esponemmo a palazzo Reale a Milano, dieci anni fa. La mostra si dispiega ampiamente su due piani, secondo la libera volontà degli artisti. Io ignoravo che era stata interdetta la sala Kounellis, così come oscurata la sala Boltanski; e nessuno, né artisti né curatori, mi ha chiarito che non potevano e non volevano esporre quadri sotto gli armadi di Kounellis dove, peraltro, Sergio Troisi aveva allestito “la mostra di Enzo Venezia, utilizzando l’opera di Kounellis come supporto, e facendo inorridire Bruno Corà”, come ricorda la direttrice. Anzi, Alessandro Pinto, l’altro curatore, mi ha aiutato a collocare alcuni dipinti, con l’idea di lasciarli a terra, in una voluta condizione di provvisorietà.
Questa era l’intesa, nessuna obiezione. Entusiasmo, lodi, grande compiacimento da parte mia, in conferenza stampa, per la mostra. Finito l’incontro con i giornalisti, testimoni di tutto, i quadri, senza informarmi, vengono tolti dalla sala Kounellis con la falsa motivazione che i prestatori, fra cui il mercante Bonelli (che nega) non li volevano a terra e ne hanno preteso la restituzione. Bugia: sono ancora, invece, nei depositi del museo. Il capo di gabinetto, Sergio Gelardi, parla con il curatore per chiedere chiarimenti, e inizia la insensata polemica, con la disponibilità a ripensare l’allestimento in sala Kounellis, in tempi (non si capisce perché: i quadri sono lì!) lunghi. Capisco allora che, per artisti e critici bigotti, è in atto la maledizione di Kounellis, e mi avvalgo della facoltà di assessore proprio perché Il museo, come scrive Fulvio Di Piazza, è di tutti: “la Regione non è cosa tua ma dei siciliani che la mantengono con le loro tasse”. Appunto. La scuola di Palermo ha avuto gli spazi che ha voluto, nessuno ha spostato un quadro. Democraticamente, ogni artista e ogni curatore hanno diritto a esporre; e io ho affidato a Gabriele Accornero la cura di una mostra negli spazi disertati ed esclusi da quelli che ora incredibilmente protestano. Non occorrono lezioncine, in tempi di feconde contaminazioni, sullo spazio vuoto, i classici da Arnheim a Dorfles, le installazioni di Fontana. In quella sala è stato esposto anche Anselmo, ed era compatibile. Enrico Robusti, pittore non meno valoroso di Bazan, De Grandi, Di Piazza, ha accettato la sfida con Kounellis. Un curatore, che è stato direttore del Forte di Bard, lo ha legittimato. E non c’è nessuna “sovrapposizione di ruoli”. Semplicemente la democrazia dei valori estetici, il diritto alla creatività.
Mai “aut/aut”, sempre “et/et”. Ognuno nel suo spazio. Nessun diktat, nessun horror vacui, nessun territorio di conquista. Nel museo non comanda Kounellis; ed è finito il tempo del terrorismo culturale. In questo dialogo, perfettamente registrato da Carlo Vulpio su “Il Corriere della sera”, non c’è nessun arbitrio, ma una provvidenziale vitalità. E l’ultimo atto dell’assessore sarà prorogare la mostra di almeno un mese, fino all’arrivo, da me voluto, di Gino de Dominicis. In pieno accordo, come è sempre stato, con la direzione, non con prepotenti e dogmatici curatori.

Un’immagine della mostra La Scuola di Palermo a Palazzo Riso
Un’immagine della mostra La Scuola di Palermo a Palazzo Riso

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