Questa settimana più di 10 mila società del Regno Unito hanno dovuto sottoporre a “Her Majesty The Queen” informazioni dettagliate sul pagamento dei propri dipendenti. Niente di nuovo sotto il sole: i dati hanno rivelato ancora una volta un pay-gap di genere notevole (in media del 9,7% a sfavore del gentil sesso) in quasi tutti i settori, uno in particolare: il mondo dell’arte.
>> I dati di numerose istituzioni internazionali sono a dir poco demoralizzanti e a guidare la classifica ci sono le case d’asta. Bonhams è in testa con un divario del 36,7% e seguono le due major –Christie’s e Sotheby’s– che pagano le loro dipendenti donne rispettivamente il 25% e il 22,5% in meno dei colleghi uomini, secondo The Art Newspaper. Le percentuali sono basate sulla retribuzione media oraria e includono i lavoratori part-time, la maggior parte dei quali sono di sesso femminile.
Affermando che ovviamente “c’è ancora molta strada da fare”, una portavoce di Bonhams ha comunque dichiarato che la società sta lavorando sodo per bilanciare la quota blu che occupa posizioni di rilievo con quella rosa, sottolineando che quest’anno sono state due donne ad aggiudicarsi i ruoli di capi dipartimento.
Sotheby’s si distingue per un dato “rassicurante” rispetto alla media: il 47,8% degli stipendi più alti vengono incassati dalle donne. Sofia Fleming, responsabile delle risorse umane, ha comunque constatato che “nonostante il gap sia minore rispetto a quello delle altre società nel campo delle aste, bisogna continuare ad affrontarlo come una priorità”.
>> Restano nella nebbia –forse fortunatamente– tutti i dati delle società e istituzioni che contano meno di 250 dipendenti –la stragrande maggioranza delle gallerie ma anche un consistente numero di case d’asta– le quali non erano legalmente obbligate a presentare i dati e, diciamocelo, ci sarà un motivo se non l’hanno fatto. Una tra le tante Philips, che ha però tenuto a precisare che “è sempre stata attenta all’importanza di retribuire tutti i lavoratori equamente”.
Il settore pubblico -per una volta- vince la sfida: i pay-gap delle organizzazioni artistiche inglesi infatti si attestano a meno di un terzo di quelli dei colleghi del privato.
>> Le eccellenze museali brillano anche nella gender equality: il Victoria and Albert Museum paga le donne il 7,2% in meno degli uomini e la Royal Academy of Arts registra un pay-gap pressoché nullo.
Controcorrente –in positivo– i due poli londinesi della Tate e del British Museum dove il divario diventa negativo ma a sfavore degli uomini: qui vengono pagati rispettivamente il 2,4% e il 4% in meno delle colleghe e alla Tate il 70% degli stipendi più alti vanno alle donne. Sesso debole?