Manca un mese all’apertura della Biennale Internazionale d’Architettura di Venezia. Ecco l’intervista ai curatori del Padiglione Francia.
La XVI edizione è dedicata, nelle intenzioni delle curatrici Yvonne Farrell e Shelley McNamara, al legame fra architettura, spazio e memoria. Abbiamo intervistato Nicola Delon, Julie Choppin e Sébastien Eymardi, membri di Encore Heureux, l’equipe responsabile del Padiglione francese, che ci illustrano la loro idea di architettura “umanistica”.
Leggendo il vostro progetto, si capisce come attraverso l’architettura sia possibile anche fare della politica, intesa nel senso più ampio possibile. È davvero così?
Con la mostra Luoghi Infiniti ci auguriamo di riuscire a raccontare come il ruolo dell’architetto si sia allargato, perché secondo noi si estende ben al di là della sola missione di gestione del progetto. È questo il senso del titolo che abbiamo scelto, con l’idea del “costruire luoghi”.
Si tratta dunque di un effettivo ruolo politico, che molti architetti accettano senza riserve, lasciandosi coinvolgere sin dalle radici del progetto, dal quale a volte scaturisce un razionale ordine urbanistico.
È anche il principio di un’architettura non finita, non completamente determinata, lontana da quei progetti già determinati in anticipo. Questo tipo di approccio implica processi decisionali aperti, con una governance condivisa, in cui si ritrova appunto il ruolo politico dell’architettura.
Se oggi il governo francese ha dimostrato di apprezzare il vostro lavoro, come spiegate che in passato non ci sia stata altrettanta attenzione per la buona architettura? Altrimenti, non si spiegherebbe la nascita delle banlieues.
Le differenti volontà politiche trovano puntualmente un volto anche nei progetti architettonici che sviluppano. La scelta fatta dai due ministeri di premiare la nostra proposta, dimostra forse che entrambi riconoscono il valore di luoghi che sono stati pensati e costruiti prestando attenzione al processo tecnico, ma anche al dialogo tra i diversi attori coinvolti.
Denota anche la loro volontà di ascoltare la società civile, per quanto riguarda la realizzazione di luoghi destinati alla collettività. Ma la mostra cerca soprattutto di portare all’attenzione generale quei flebili segnali portatori di vitalità e voglia di sperimentare, al di là della questione di un’architettura buona o meno buona in un determinato periodo storico.
Come si può raggiungere, secondo voi, l’equilibrio fra la conservazione della cultura francese e l’integrazione con quelle straniere?
Relativamente al nostro progetto dei “luoghi infiniti”, abbiamo voluto cercare approcci stranieri che fossero simili alla nostra esperienza. Approfitteremo della Biennale per invitare tutti i visitatori ad aiutarci a creare un inventario condiviso. Ci sono, naturalmente, peculiarità francesi e una certa relazione con il patrimonio esistente, ma anche molti riferimenti a quanto accade nel resto del mondo.
Oggi, le questioni ecologiche ed economiche sono così profondamente intrecciate, che dobbiamo agire, anche in architettura, adottando un’ottica d’azione che sia il più possibile allargata a queste dinamiche. Ma è importante anche investire sul piano locale, per “accogliere” tutte quelle proposte e alternative nel rispetto di culture specifiche.
Tre qualità che un buon progetto architettonico deve possedere.
Un buon progetto deve essere semplice, bello, e soprattutto vivo.
Informazioni utili
Biennale Architettura 2018 – XVI Mostra Internazionale di Architettura
Venezia, dal 26 maggio al 25 novembre 2018