Il Centre Pompidou apre le porte a una grande mostra che racconta il breve periodo dell’avanguardia russa secondo Marc Chagall e il gruppo degli astrattisti che faceva capo a Malevič. Fino al 16 luglio 2018.
Ben 250 fra opere e documenti in prestito dalla Galleria Tretyakov di Mosca, illustrano due differenti concezioni dell’arte e della Rivoluzione.
Parigi. All’indomani della caduta dello Zar, in Russia si respirava con fiducia l’aria di una nuova era di definitivo progresso civile: l’uguaglianza degli individui sembrava trionfare sull’onda del socialismo, che prometteva un futuro di pace sociale eliminando i conflitti di classe. Fra i testimoni più entusiasti dei cambiamenti politici, anche il pittore Marc Chagall (1887-1985), la cui origine ebraica sotto il regime zarista era stata oggetto di leggi discriminatorie che gli avevano intralciata la carriera. Adesso, cittadino russo a tutti gli effetti, vedeva davanti a sé la possibilità di offrire il proprio contributo; sentiva infatti l’arte non soltanto come un atto creativo, ma anche come una missione tesa a portare la società verso nuove mete, a suggerirle obiettivi, a regalarle bellezza. Una concezione che si incastonò nell’ideale rivoluzionario socialista, nel quale sinceramente credeva.
Esattamente un secolo fa, Marc Chagall veniva nominato Commissario alla Belle Arti per la regione di Vitebsk, una carica che gli permise di creare una scuola statale d’arte aperta a tutti, senza distinzioni di classe, e senza un programma di corsi obbligatori. Si trattava di offrire agli allievi una varietà di proposte, fra cui avrebbero scelto essi stessi quella a loro più confacente. A completare l’opera, Chagall invitò, nel corpo docente, i colleghi El Lissitzky (1890-1941) e Kazimir Severinovič Malevič (1879-1935). Vitebsk divenne quindi un importante centro di sperimentazione artistica, dove il dibattito tra arte figurativa e astrattismo era funzionale allo sviluppo di un’avanguardia artistica rivoluzionaria.
La grande mostra Chagall, LIssitzky, Malevič. L’Avanguardia russa a Vitebsk, 1918-1922, ripercorre la breve ma intensa esperienza delle sperimentazioni artistiche nel vivace ma controverso periodo che va dall’affermazione della rivoluzione bolscevica alla nascita dell’Unione Sovietica, prendendo in esame proprio il “laboratorio” di Vitebsk – dove si formarono artisti quali David Iakerson, Mikhail Kounine, Nikolai Souiétine -, e mettendolo a confronto con l’avanguardia moscovita di Larionov e Goncharova, e l’astrattismo di Kandinsky.
Celebrando nel 1918 il primo anniversario della Rivoluzione, Chagall non si poneva il problema di quale dovesse essere lo “stile rivoluzionario”, al contrario si schiera per l’uguaglianza di tutti i movimenti a lui contemporanei. L’essenziale stava nell’eliminare, poco a poco, il sistema delle accademie, di modo che docenti e allievi potessero confrontarsi su un piano paritario, perché a suo dire la rivoluzione era qualcosa di intimo e personale, non necessariamente legato a uno stile ben preciso. È per questa ragione che i suoi dipinti non perdono quell’aura onirica che li caratterizza sin dagli esordi, quella poesia che nasce da dentro e non dalle direttive di partito (non casualmente, Chagall rifiutò qualsiasi altra carica che gli fu proposta scegliendo di rimanere a Vitebsk.
Le sue figure, metà umane metà angeliche, sono araldi di libertà, incoraggiano al perseguimento dei propri sogni e delle proprie aspirazioni. A loro appartiene l’avvenire, che ognuno si costruisce secondo la propria coscienza. Realismo magico e colori caldi sono le cifre di pitture dall’aura fiabesca, che disgraziatamente non potevano incontrare molto favore nelle alte sfere moscovite del partito comunista.
Differente, all’interno del gruppo di Vitebsk, la posizione di Malevič, che nel 1913 avevo teorizzato la corrente del Suprematismo, per un’arte liberata da fini pratici ed estetici e tesa soltanto alla sensibilità plastica, ovvero un’arte fine a se stessa. Una visione radicale, che s’inseriva nel clima delle avanguardie europee come Cubismo e Futurismo, e costituì appunto la risposta russa al resto d’Europa. Suo seguace entusiasta, fu il collega Lissitzky. Organo ufficiale del Suprematismo, fu il collettivo OUNOVIS (acronimo del russo Seguaci della Nuova Arte), fondato nel 1920 e attivo nel propagandare la teoria di un’arte che si astraesse completamente dalla natura, ispirandosi ai principi formali del Cubismo.
La pittura di Malevič e colleghi giunse alla completa assenza di oggetti per costruire, come scrisse lo stesso pittore, “un nuovo mondo spirituale e utilitario”. E fu utile, forse inconsapevolmente, alla causa socialista, che nell’organicità formale e concettuale vedeva la traduzione artistica del suo modus operandi. Perché la concordia fra menscevichi e bolscevichi (rispettivamente socialisti moderati e massimalisti) e la minoranza liberale che avevano lottato insieme per rovesciare il regime zarista, stava rapidamente volgendo al termine, e la fame di potere aveva portato alla guerra civile. La svolta autocratica impressa da Lenin sul finire del 1918 aveva portato i bolscevichi al governo, ma aveva anche indebolita l’aura libertaria della Rivoluzione.
La mostra del Centre Pompidou illustra questo fallimento attraverso le fonti indirette delle opere d’arte, capaci di registrare anche gli umori politici di un Paese. È un fatto che, in breve tempo, la quasi totalità degli allievi dell’istituto d’arte di Vitebsk, scelse di seguire i corsi di Malevič, sicuramente meno impegnativi da un punto di vista etico, limitandosi il Suprematismo a sterili composizioni di carattere geometrico, totalmente avulse dalla realtà dell’uomo, dal suo sentire, dalle sue problematiche e aspirazioni.
C’era però l’idea di un’arte “di sinistra”, intendendo la creazione artistica come un atto collettivo, e ognuno dei membri doveva considerarsi non come un individuo a sé ma come un’unità creativa del gruppo. Per questa ragione si organizzavano soltanto mostre collettive, e le opere esposte in maniera anonima, in quanto espressione del gruppo e non del singolo. La marginalizzazione dell’individualità a favore dell’organicità creativa sacrifica sensibilmente la varietà stilistica. Così come Mondrian con De Stijl, anche Malevič intende applicare il suo credo artistico al design, alla grafica, all’architettura, fino all’oggettistica quotidiana.
L’apporto di Lissitzky fu importante perché fu lui a sviluppare la parte architettonica, anche se nell’autunno del 1920, poco tollerando la continua presenza di Malevič, fonda un gruppo parallelo, PROUNS (Progetto per l’Affermazione della Nuova Arte), che comunque, nonostante le dichiarazioni, in nulla si differenzia dalla “casa madre”. Ma il fenomeno è indicativo della stanchezza occorsa nell’arte “dell’avvenire”. Che, al pari della altre avanguardie, perseguiva uno sradicamento dal passato, una nuova ripartenza dopo la tragedia della Grande Guerra e, in Russia, dopo i cambiamenti della Rivoluzione. La via astratta scelta da Malevič e Lissitzky differisce completamente da quella, ad esempio, di Kandinsky, Larionov, Rodchenko, che pur distorcendo all’estremo la realtà, non si allontanarono mai completamente dal figurativo, cui nelle loro opere mantennero flebili richiami.
Tuttavia, nonostante la sua organicità con i dettami della Rivoluzione, anche OUNIVO incorse nella censura governativa, che poco gradiva la sua pretesa di egemonia artistica, in un momento in cui l’arte doveva diventare uno strumento esclusivo della propaganda politica. Nel 1923, il collettivo fu sciolto d’autorità. Rispetto al 1917, il clima in Russia è radicalmente cambiato; è nata l’Unione Sovietica, quello comunista è l’unico partito ammesso, e l’anno successivo Stalin avrebbe inaugurata la sua trentennale dittatura.
Già nel 1922 Chagall aveva deciso di lasciare un Paese che non sentiva più suo, scegliendo di trasferirsi a Parigi, che non aveva ancora perso il suo ruolo di capitale mondiale della cultura. La scuola d’arte da lui fondata, era stata chiusa pochi mesi prima subito dopo la prima sessione di esami per ordine di Stalin: a suo dire non serviva gli scopi della rivoluzione. Malevič continuò la sua attività in patria, interessandosi al razionalismo del Bauhaus, ma a causa dei suoi rapporti con gli artisti tedeschi, fu arrestato nel 1930 e gran parte dei suoi taccuini distrutti. Riavvicinatosi al figurativo, scomparve a Leningrado nel 1935. Assai più organica l’attività di Lissitzky, anch’egli molto interessato al Bauhaus, in particolare nei settori dell’architettura e del design.
Dopo l’esperienza del gruppo Proun, abbandonò quasi completamente la pittura, e si dedicò alla progettazione degli allestimenti espositivi per conto del regime, fra cui il Padiglione Sovietico all’Esposizione Universale del 1939 svoltasi a New York. L’aggravarsi della tubercolosi che lo perseguitava da anni, limitò la sua attività, e si spense a Mosca nel dicembre 1941, mentre era impegnato nella campagna bellica di propaganda antinazista. Di fatto, l’avventura dell’arte russa si era già chiusa nel 1922. Ma dal suo esilio forzato, Chagall continuò per tutta la vita a raccontare la bellezza e la poesia della cultura del suo Paese, attraverso pitture capaci di raccontare il carattere fatalista e sognatore del suo popolo.
E non è casuale che ancora oggi, a distanza di anni, qualsiasi pubblico, che sia o meno russo, sente arrivare al cuore le pitture di Chagall, ma non può dire altrettanto degli esercizi di stile dei Suprematisti, e meno ancora dell’arte sovietica di propaganda.
Informazioni utili
Chagall, Lissitzky, Malevič. L’Avanguardia russa a Vitebsk, 1918-1922
Centre Pompidou, Galerie 2, Place Georges-Pompidou, 75004 Parigi
Dal 28 marzo al 16 luglio 2018