Il siciliano con la coppola e lo sguardo sospettoso non si vede più in giro, è una specie di icona abbandonata nella soffitta dei ricordi e, forse, delle barzellette. Non si vede nemmeno a Monza, che durante e dopo la grande migrazione del dopoguerra di isolani ne ha accolti tanti. Nel capoluogo brianzolo di coppole se ne può fare a meno, sembra invece irrinunciabile la gastronomia siciliana: quella resta, perché probabilmente ha ancora qualcosa da dire. Qualcosa di nuovo?
Proviamo a verificare se pure a Monza esista una “sicilianità” degna di nota, visitando un ristorante da cinquanta coperti, “Il Moro”, in via Parravicini, a cinque minuti dal Duomo in cui si può ammirare il cimelio che ha ornato anche la testa di Carlo Magno: la Corona ferrea. L’ambientazione è elegante, forse un po’ rétro, con una mostra temporanea del pittore Domenico Mancuso ad evocare atmosfere sospese fra il concreto e l’astratto. Titolari sono i tre fratelli Butticé, che dal 2007 hanno rilevato l’attività dopo una serie di esperienze professionali in giro per l’Italia. Antonella, Salvatore e Vincenzo amano sottolineare la propria intercambiabilità: di norma, la prima si occupa della sala e della sommellerie, Vincenzo della gestione aziendale e Salvatore della cucina, ma l’affiatamento è tale da consentire scambi di ruolo non occasionali.
Ed infatti è Vincenzo, per questa volta, ad avere il compito di presentare il “Viaggio in Sicilia” , menù alla carta di sei portate da 75 euro (bevande escluse). “In questo viaggio gli ingredienti tradizionali,” introduce Vincenzo, “ci sono tutti: le sarde, il finocchietto, i gamberi rossi, il dentice, la ricciola, la ricotta e il gelso hanno il compito di ricordare chi siamo e da dove veniamo. Né possono mancare i prodotti tipici del nostro paese d’origine, Raffadali (AG), come i pistacchi e le mandorle, dato che noi tre siamo nati e cresciuti entro i confini rassicuranti di un’azienda agricola. Non vogliamo, tuttavia, perdere il contatto col territorio che ci ospita, ed ecco perché lavoriamo parecchio con il riso Carnaroli della riserva San Massimo (Pavia) e con i salumi di Marco d’Oggiono (alta Brianza).”
Isolani senza isolarsi, potrebbe essere questo uno dei princìpi alla base della filosofia dei fratelli Butticé. Di sicuro, in contatto con la cucina contemporanea e le sue divagazioni estetiche sono le sarde a beccafico, uno zuccotto che rivisita con estro il grande classico messinese o palermitano o catanese: quel che conta è la finezza dell’insieme, l’esatta paternità geografica un po’ meno. Il Riso Carnaroli con dentice e asparagi magari non fa parte del repertorio delle tipicità, e quindi siamo nel campo delle contaminazioni, ma di quelle felici: un piatto semplice, dopotutto, senza fronzoli, che dice molto delle idee che circolano nella cucina del trio Butticé.
“Io penso,” continua Vincenzo, “che le materie prime debbano rimanere riconoscibili: un piatto che non fa intuire cosa ci sia dentro crea una specie d’imbarazzo nell’ospite, e per me è impensabile. La creatività deve regnare sovrana, ma senza mettere la genuinità degli ingredienti al servizio della tecnica: deve semmai accadere il contrario. Insieme ad Antonella e a Salvatore io sono sempre, in qualche modo, alla ricerca dei sapori che hanno attraversato la nostra infanzia, quelli che suscitano emozioni e ricordi, ed è questo che cerchiamo di trasmettere ai nostri graditi ospiti.”
Il discorso sul gradito ospite, di solito venato di una retorica un po’ scontata, qui al ristorante “Il Moro” emerge in tutta schiettezza quando domandiamo a Vincenzo se esista un elemento irrinunciabile, in un locale che voglia dirsi siciliano. “L’ospitalità, senza dubbio. Da noi è calda, verace, le persone capiscono che non è artefatta. E non si va a comprare, come si farebbe invece con i pistacchi, i gamberi e i vari prodotti tipici.”
E allora sarà stata lei, la dea ospitalità, ad aver donato ai paccheri dei Monti Sibillini con pistacchio di Raffadali e gamberi quell’equilibrio magico basato, ancora una volta, sul fascino della semplicità. In aggiunta, quest’ulteriore tappa del viaggio in Sicilia offre la speciale consistenza dei paccheri, elastici e del giusto spessore – un particolare di classe, tale da suscitare la gratitudine dei veri gourmet. Così come la scoperta che Banfi, nome da sempre associato ai rossi toscani più preziosi, produce anche degli spumanti piemontesi profumati, piacevolmente freschi e perfetti da abbinare a pesce e crostacei. Un altro piccolo regalo dell’imprevedibile fantasia dei Butticé.
“Il viaggio termina con la nostra cassata”, conclude Vincenzo, “che abbiamo voluto smontare e ricomporre avendo in mente l’idea fissa dell’equilibrio: tutti gli ingredienti, dalla mandorla d’Avola alla frutta candita, devono essere al servizio della protagonista assoluta, la ricotta che ci arriva freschissima dall’isola. Facendo particolare attenzione al dosaggio dello zucchero, che non deve coprire tutto il resto.”
Non è una vera e propria malinconia da fine viaggio, quella che si avverte nel dopocena firmato Butticé, piuttosto un aumento dei livelli di curiosità, già notevoli nelle sinapsi di tutti i viaggiatori del gusto. Ma si avverte anche una specie di certezza: il modello del siciliano tutto coppola e sospetto è in estinzione, soppiantato dalla volontà di cercare l’equilibrio tradizione/ esplorazione in ogni piatto e in ogni abbinamento. Una visita al Ristorante “Il Moro”, a due passi dal centro di Monza, potrà solo rendere più salda questa certezza.