Il celebre storico dell’arte Philippe Costamagna presenta il libro Avventure di un occhio. Dal taglio fortemente autobiografico, il saggio racconta il dono di riuscire ad attribuire la paternità ai capolavori del passato. Un talento incredibile, tutto racchiuso nell’occhio.
Per arrivare a sfiorare il quadro, i raggi del sole devono attraversare lo strato di vetro della finestra e seguire il costruirsi della stanza fino alla parete dove l’opera senza attribuzione giace solitaria. Siamo al Musée des Beaux-Arts di Nizza e una Crocefissione occupa una parete espositiva senza che nessuno ne conosca l’autore. Philippe Costamagna cammina per il museo leggero: si tratta di una visita di piacere, i compiti da storico dell’arte scendono in secondo piano per una volta. Ma l’occhio è vigile, balla e si muove attento come fosse dotato di una propria individualità. L’occhio dello storico dell’arte non solo guarda, pensa. O almeno lo fa l’occhio di quella ristretta cerchia di esperti che ha trovato la perfetta sintesi tra conoscenza e intuizione. Così Philippe Costamagna segue spontaneamente quel filo di luce che lo conduce, attraverso il pulviscolo splendente, fino alle dita del Cristo in croce. Un lineare cono di luce che focalizza l’attenzione su un dettaglio, un’unghia. Ma per Costamagna non è solo un’unghia, ma un elemento fondamentale, una firma tanto indiscutibile quanto bizzarra da non sembrare neppure verosimile. Eppure è così. Lo storico dell’arte francese riconosce nella levigata lucentezza delle unghie del Cristo crocefisso la mano fiorentina di Bronzino. Passato per secoli inosservato, il quadro acquisisce paternità e notorietà tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Bronzino miracoloso”. Citata dal Vasari nelle sue famose Vite, l’opera era considerata dispersa. Questo episodio, risalente al 2005, assieme ad altri sono oggetto di Avventure di un occhio. Edito da Johan & Levi Editore e scritto da Philippe Costamagna, il libro filtra le esperienze personali del critico d’arte francese e le inserisce nel contesto teorico e pratico del mestiere dello storico dell’arte. Una professione legata a pochi, in cui sono ancora meno quelli che riescono ad eccellere.
Fra questi ci sono certamente Berenson, Longhi e Zeri, professionisti da cui Costamagna ha imparato e preso ispirazione. Nato a Nizza nel 1959, Philippe Costamagna è uno storico dell’arte specializzato in pittura italiana del Cinquecento. Dopo gli studi parigini, perfeziona le proprie conoscenze in Italia, frequentando la Fondazione Longhi e villa I Tatti di Firenze. Dal 2006 è direttore del Palais Fesch Musée des Beaux-Arts di Ajaccio. Grazie alla prosa chiara e alla prospettiva memoir, propone ora un saggio incentrato sull’occhio e sulle sue potenzialità trasversali. Analizzare un’opera con uno sguardo, scomporne i dettagli nel tempo di un battito ci ciglia, estendere la visione all’interno delle forme che la compongono e ricostruirne le vicende, trovarne la collocazione nella storia dell’arte fino anche a riconoscerne la paternità. È un talento innato levigato da una conoscenza acquisita, coltivata fin dall’infanzia grazie agli studi e al contatto diretto con l’opera. Proprio questo aspetto di approccio fisico con il quadro, in particolare, è fondamentale per apprezzarne ogni sfumatura, per analizzare i dettagli che rendono un’opera unica e riconoscibile. Nel continuo conflitto tra chi predilige un approccio documentaristico alla storia dell’arte e chi invece esalta le potenzialità dell’occhio, Costamagna prende una posizione netta:
«Se lo storico dell’arte può accontentarsi di ricorrere a una ricca biblioteca e a un vasto repertorio di immagini, quello che io chiamo “occhio” ha la missione di scoprire la paternità dei dipinti solo a partire dal suo sguardo. Il suo compito è vedere. E, per riuscirci, non può sottrarsi al contatto diretto con ogni opera»
L’occhio è sintesi perfetta di erudizione e spirito critico, strumento fondante e simbolico di un modo di fare critica fondato sull’’analisi diretta dell’opera. Non solo in termini di prossimità fisica, ma anche di linguaggio analitico risultato di un preciso approccio ideologico all’indagine. La forma e la relazione (tra un’opera e un’altra, ma anche all’interno della stessa) sono gli elementi che da soli sono in grado di condurre una precisa argomentazione critica. Così facendo, prima che nel contesto storico, l’opera viene inserita nel processo di trasformazione/evoluzione formale che l’arte e la storia dell’arte vivono da sempre. Lo spiega Roberto Longhi in modo efficace:
«Poiché si tratta di stabilire esattamente le qualità formali di opere figurative, noi pensiamo che una volta fissate storicamente le modalità formali che servono di punto di riferimento per la comprensione storica di quell’opera singola, sia possibile ed utile stabilire e rendere la particolare orditura formale dell’opera con parole conte ed acconce, con una specie di trasferimento verbale che potrà avere un valore letterario, ma sempre e solo in quanto mantenga un rapporto costante con l’opera che tende a rappresentare»
L’opera d’arte prima di tutto, dunque. Liberi dalla storia, dalla letteratura, dalla politica, dalla filosofia, da tutte le costruzioni e relazioni che con l’arte si intersecano, prima di tutto viene l’opera e l’occhio, libero e indagatore, che la osserva.
Questi ed altri trucchi del mestiere sono raccontati da Costamagna con piglio vivace e poco accademico. Mescolando narrazione, aneddoti curiosi e analisi precise, l’autore ci racconta del tema del restauro e dei falsi, dei nuovi strumenti tecnologici e dei criteri di datazione. Avventure di un occhio è un saggio personale sull’arte e sull’arte di lavorare con l’arte, in grado di stimolare e affinare l’occhio del lettore consapevole.