Montparnasse femminile singolare, recensione del film di di Léonor Serraille
Presentato al 70° Festival di Cannes, il film è stato insignito del premio Camera d’Or come miglior opera prima, Montparnasse femminile singolare è un film luminoso e frizzantino, un elogio all’instabilità che dipinge con delicato realismo un ritratto femminile tragicomico, dinamico e solare.
«Solo perché sono nervosa non vuol dire che sono malata!», inizia così Montparnasse femminile singolare, con un esaurimento nervoso. La fine di una storia d’amore affrontata alla stregua di un lutto. Paula (interpretata da Lætitia Dosch), 31 anni,torna a Parigi dopo un lungo soggiorno in Messico. Il suo ex,un fotografo con cui ha condiviso dieci anni di vita, non vuole più vederla e lei si ritrova, senza un soldo e senza casa – perfino la madre non la vuole più vedere. Accompagnata da un gatto, Paula, tra mille incontri, lavori precari e guai a non finire, armata solo della sua debordante emotività, si reinventa una nuova vita. A modo suo.C’è in questa pellicola diretta da Léonor Serraille tutta l’estetica della nouvelle vague, che ha saputo raccontare con occhi nuovi proprio la grande vitalità della capitale francese, filtrata però attraverso la lente contemporanea di Xavier Dolan. Il film vibra di tutta l’isteria di J’ai tué ma mère (esordio del regista canadese) ma si illumina dei colori primari, pop e romantici, di Les Amours imaginaires.
Quello di Paula può essere tranquillamente inserito in un’immaginaria galleria di ritratti assieme a quello di Cléo (Cléo de 5 à 7) e di Nana Kleinfrankheim (Vivre Sa Vie). Fa da sfondo alle avventure di Paula una Parigi sempre in fermento, di notte, all’alba, mentre il traffico scorre incessante rendendola viva e pulsante. A fare da contrappunto musicale a questo viaggio c’è il jazz di Las Vegas Tango, di Gil Evans.
«Non c’è immaginazione a Parigi, ci sono troppi soldi!» sbotta Paula, protagonista insopportabile e ingestibile come una qualsiasi delle protagoniste di Girls (per i più distratti, il serial TV di Lena Dunham), ma che come una spugna sa assorbire l’energia che la circonda e come un camaleonte cambiare colore, per crescere.
Paula è una Punky Brewster un po’ cresciuta e dai capelli rossi. Una donna che deve far fronte al peso della solitudine, amplificata dalla città che la circonda, quasi la inghiotte: carattere forte e pieno di contraddizioni, pieno di colori, sgargianti e accesi come quelli che illuminano la pellicola.
Paula impara, attraverso i giorni che passano, i lavori saltuari e gli incontri -più o meno casuali- e qualche disavventura, che essere “singolare” può essere una scelta e non una condanna o una punizione.