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Gong: la cosmogonia di Mattiacci risuona al Forte del Belvedere di Firenze

Eliseo Mattiacci, Gong, Forte Belvedere (Sulla destra: Totem con nuvola, 1996) Eliseo Mattiacci, Gong, Forte Belvedere (Sulla destra: Totem con nuvola, 1996)
Eliseo Mattiacci, Colpo di Gong, 1993. Ph. Simona Fossi
Eliseo Mattiacci, Colpo di Gong, 1993. Ph. Simona Fossi

Il Forte Belvedere di Firenze, come un altare, consacra le opere del Maestro marchigiano ospitando, fino al 14 ottobre, la più grande antologica mai realizzata sull’artista.

“Gong”, questo il titolo dell’imponente esposizione curata da Sergio Risaliti, Direttore artistico del Museo del Novecento, che pone la Palazzina e gli spalti della fortezza rinascimentale fiorentina al centro della cosmogonia di Eliseo Mattiacci (Cagli 1940), pioniere dell’avanguardia italiana degli anni ’60.

In questa mostra emerge tutta la poetica dell’artista sempre tesa ad indagare la propria identità in relazione all’altro e ad esplorare l’immensità dell’infinito.

Per questa rassegna non poteva esserci, quindi, un luogo più appropriato del Belvedere che si erge su Firenze dominandola, quasi tentasse di colmare quello spazio indeterminato che è la distanza tra la terra e il cielo. Come se, quattrocento anni fa, questo luogo fosse stato concepito con la sola funzione di ospitare i dispositivi ideati dall’artista, in grado di azionare viaggi nello spazio e nel tempo e di comunicare con una qualche forma extra-terrestre. Il Forte si trasforma dunque in un’astronave pronta a decollare per avverare il sogno del Maestro, di lanciare le sue opere in orbita nello spazio.

Eliseo Mattiacci, Gong, Forte Belvedere (Sulla destra: Totem con nuvola, 1996)
Eliseo Mattiacci, Gong, Forte Belvedere (Sulla destra: Totem con nuvola, 1996)

Sono venti le sculture esposte, tutte composte da materiali di recupero e di scarso valore che si prestano ad essere plasmati ed assemblati così da formare un insieme capace di richiamare analogie e metafore poetiche. Ne è un esempio emblematico la prima che incontriamo all’interno della Palazzina centrale, Uomo Meccanico (1961), realizzata con bulloni, lastre e piastre, animazione meccanica dell’essere e rappresentazione di un corpo estraneo perchè privo di ogni riferimento alla condizione umana.

Sempre all’interno del corpo centrale, sala dopo sala, si scoprono i disegni di Mattiacci, alcuni dei quali inedite testimonianze delle riflessioni dell’artista sullo spazio e sul coinvolgimento attivo dell’uomo nell’opera. Egli si serve della carta come strumento di verifica delle sue esperienze scultoree e performative. I suoi disegni sono cartine stellari, come si nota nel caso della serie Predisporsi ad un capolavoro cosmico-astronomico (1981-82), in cui Mattiacci mappa lo spazio di aggregazione e disgregazione della materia celeste. Essi rappresentano visivamente la spiegazione della sua idea di universo che si concretizza sotto forma di raffigurazione, come se l’artista fosse un architetto instancabilmente impegnato nel tentativo di delineare il suo progetto ideale del cosmo. Le opere della serie Corpi Celesti (2008-09) illustrano, infatti, lo sfregamento di materia e particelle di gas che, combinandosi, generano una gioiosa manifestazione cromatica che si disperde nel bianco della carta nello stesso modo in cui gli elementi si disperdono nell’universo.

Percorrendo le sale interne alla Palazzina ci si imbatte, inevitabilmente, anche nel Tubo (1967) che si snoda per 65 metri creando “un ambiente totale” e dando la possibilità, citando Mattiacci, “di avere un oggetto che potevo appoggiare senza doverlo costringere a una forma precisa, ma che muovendo prendeva diverse forme, si appropriava dello spazio”. Il Tubo è la proiezione dell’artista che tenta di impadronirsi del reale e del territorio che lo circonda immettendo al suo interno una forma dinamica, non controllabile, in grado di approdare, per riprendere Germano Celant, “ad un continuum che garantisca la circolazione di tutte le energie, senza limiti e senza confini”. Il Tubo si colloca, dunque, in un divenire in cui conta solo l’indeterminato spostamento verso l’incognito ed è proprio l’indeterminatezza di questo viaggio spaziale ad interessare l’artista più di ogni altra cosa.

Eliseo Mattiacci, Tubo, 1967
Eliseo Mattiacci, Tubo, 1967

All’esterno della Palazzina troviamo quelle sculture che si concentrano in particolare sulla produzione, sviluppata nei lavori realizzati a partire dagli anni Ottanta, indirizzata verso quelle che Bruno Corà ha definito “Opere spaziali-cosmiche-astronomiche”. Citiamo, a tal riguardo, Totem con nuvola (1996) che, come le altre, sembra realizzata nella preistoria: “Vorrei che nel mio lavoro si avvertissero processi che vanno dall’età del ferro al Tremila” sostiene Mattiacci. E’ un’opera non più collocabile nel tempo e nello spazio ma unicamente progettata per esplorare poeticamente, attraverso i simboli su essa ritagliati, la relazione tra l’uomo e gli “interminati spazi”, così citati ne L’Infinito di Leopardi. Non c’è ostacolo tra l’osservatore e l’oggetto osservato. Davanti a ciascuna scultura, si avverte una sensazione di curiosità che, anzi, attrae e spinge a guardare oltre, verso appunto, l’Infinito.

Così ogni lavoro è teso all’esplorazione della volta celeste ed il binario che attraversa il grande cerchio nell’opera Le vie del cielo (1995) ci appare quasi come fosse il cannone immaginato da Jules Verne nel suo romanzo “Dalla Terra alla Luna”. Questa volontà di connessione tra Cielo e Terra si evince anche in Fulmine-saetta (1987) dove l‘asta, carica di tensioni, proietta lo sguardo di chi osserva verso la galassia pur senza fargli trascurare la forza con cui resta conficcata nel terreno.

Eliseo Mattiacci, Gong, Forte Belvedere (Sulla destra: Totem con nuvola, 1996)
Eliseo Mattiacci, Gong, Forte Belvedere (Sulla destra: Totem con nuvola, 1996)

La produzione del Maestro è anelito verso le recondite armonie e i misteri delle sfere celesti, come è possibile notare nelle sculture Ordine, Ordine I, Ordine II (1995-96). Le tre opere sono state disposte dal curatore come fossero parte di una galassia ben definita, all’interno della quale viene catapultato l’osservatore nel momento in cui si approccia a ciascuna di esse. Ogni lavoro dell’artista aspira a riempire il vuoto che lo circonda, quasi come volesse colmare l’infinito, quasi come volesse possederlo, spiegarlo o rappresentarlo. Ma l’infinito è indeterminabile e a Mattiacci, come a noi, non resta che annegare dolcemente nella sua tanto bramata immensità.

“Così tra questa

Immensità s’annega il pensier mio:

E il naufragar m’è dolce in questo mare.”


Informazioni utili

Eliseo Mattiacci, Gong – Firenze, Forte di Belvedere

2 giugno – 14 ottobre 2018

Orari : 11:00-20:00  –  Ultimo ingresso ore 19.00. Chiuso il lunedì.

Biglietti: € 3,00 Intero. € 2,00 Ridotto (18-25 anni). € 2,00 Forte di Belvedere Card (riservata ai residenti della Città Metropolitana di Firenze.

Dopo il primo acquisto dà diritto all’accesso illimitato al Forte dal 2 giugno al 14 ottobre 2018). € 2,00 Visite guidate e attività. Gratuito – Minori di 18 anni, possessori della Forte di Belvedere Card, Firenze Card.

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