Tra affinità e contrasti, tra amicizia e rivalità. Alla Fondation Beyeler un inedito confronto tra due giganti del Moderno: Francis Bacon e Alberto Giacometti.
Due grandi mostre in una sola. A Riehen, paesino poco distante da Basilea, la Fondation Beyeler ospita, fino al 2 settembre, un inedito confronto tra due delle personalità artistiche più influenti e controverse della seconda metà del XX secolo: Francis Bacon e Alberto Giacometti.
>> Se già singolarmente gli artisti avrebbero potuto generare reazioni entusiaste, il risultato della doppia-mostra è oltre le aspettative. L’esposizione, che presenta un corpus di più di 100 opere -provenienti dalla Collezione Beyeler, dalla Fondation Giacometti e da alcuni dei più importanti musei del mondo, tra cui il MoMA e il Centre Pompidou– si snoda per nove sale nel magnifico edificio progettato da Renzo Piano, immerso e fuso nella natura che lo circonda.
L’ambizioso quanto interessante progetto -curato da Catherine Grenier (curatrice della Fondation Giacometti), Michael Peppiatt (esperto di Bacon e suo amico) e da Ulf Küster (curatore della Fondation Beyeler)- è il primo in assoluto a mettere vis-à-vis i due artisti, che si conobbero all’inizio degli anni ’60 grazie ad un’amica in comune, la pittrice Isabel Rawsthorne.
Quella dei due artisti per la Beyeler non è una scelta casuale: Ernst Beyeler infatti, oltre ad averli conosciuti entrambi personalmente, si adoperò per far conoscere la loro opera con una serie di mostre nella sua galleria -le cui locandine si “guardano” all’ingresso-, acquistando una buona parte delle loro opere, ancora oggi in collezione -tra cui Homme qui marche II (1960) e il grande trittico In Memory of George Dyer (1971)- e partecipando attivamente alla nascita della Fondation Giacometti di Zurigo.
Analogie e contrasti
Se a prima vista le opere dei due artisti potrebbero sembrare diametralmente differenti, le analogie messe in luce dalla mostra, organizzata per sezioni tematiche, risultano davvero sorprendenti. La scelta comune della ricerca sulla figura umana e sul dramma dell’esistenza è il fil-rouge che lega la loro produzione artistica. L’uomo viene da entrambi rappresentato come una figura alienata e distorta, fino al punto di diventare una forma completamente dissolta ed astratta.
Un lavoro incessante sulle opere, per giungere a rappresentare il loro personale “reale”. Se per Bacon l’espediente per condurre una ricerca approfondita su tutti i suoi modelli fu il trittico -ripreso dall’arte medievale-, che gli permise di riprodurre infinite sfaccettature e “facce” dei suoi soggetti, per Giacometti la creazione era una vera e propria sfida con sé stesso: maledicendo la sua -supposta- incapacità, egli riprendeva continuamente in mano le sue opere, in particolare i quadri, anch’essi presenti in mostra. Le sue opere pittoriche diventano quindi sovrapposizioni di fittizi fallimenti, una serie di strati densi volti a definire -e distorcere-sempre di più la figura umana che stava posando per lui, che richiedeva ai suoi modelli e modelle immobilità assoluta durante la creazione.
>> Per entrambi l’atelier -piccolo, caotico e privato- era uno spazio fondamentale, in cui dal caos scaturiva l’ordine della creazione. “Ho cercato di dargli una ripulita, ma lavoro molto meglio nel caos” –diceva Bacon- “per me il caos genera immagini”.
Entrambi studiosi e ammiratori dei maestri antichi, non tralasciarono mai la loro eredità nella creazione, copiandone e parafrasandone le opere più celebri. Ne sono un lampante esempio le tele Study for Portrait VII (1953) e Figure with Meat (1954), dove Bacon chiaramente si rifà nel primo caso alla fotografia dei corpi in movimento di Eadweard Muybridge, creando una figura agitata e convulsa, nell’altro al celebre Ritratto di Papa Innocenzo X del pittore seicentesco Diego Velázquez, dando origine ad una composizione cruda e carnale, un’inquietante e disturbante Crocifissione.
Per rappresentare le figure nello spazio Giacometti si affidò alla tridimensionalità delle sculture, Bacon alla bidimensionalità dei dipinti; entrambi introdussero nelle loro opere strutture simili a gabbie, per isolare la figura umana, ed è proprio al tema della gabbia che è dedicata una delle sezioni in mostra. I protagonisti delle opere sono sempre raffigurati soli, in particolare nei quadri di Bacon, quasi a voler negare qualsiasi tipo di interazione o di possibilità che, in una vita fatta di dolori, si potessero instaurare relazioni di alcun tipo tra gli esseri umani.
Giacometti costruì delle intelaiature, strutture spaziali in cui inserire i suoi soggetti: ne sono un esempio La Cage (1950), Le Nez (1947-49) e l’iconica Boule suspendue (1930), una delle sue più celebri sculture surrealiste, tanto semplice quanto allo stesso tempo erotica.
Bacon collocò spesso i personaggi delle sue tele all’interno di costruzioni illusionistiche, un espediente -volto a mettere meglio a fuoco le figure stesse- che rende, secondo Louise Bourgeois, i quadri del pittore irlandese «estremamente scultorei». Un lavoro raramente esposto, Figure in Movement (1976) -proveniente da una collezione privata-, mostra una figura umana al centro di quella che potremmo definire un’arena, ben definita dalle linee bianche, un palcoscenico- in cui giace, imprigionata e reclusa nelle costrizioni interiori, nel dolore fisico e in quello psichico, una figura antropomorfa e sfigurata.
Gessi di Giacometti inediti, provenienti dal suo lascito personale
Non solo bronzi. La creazione delle famose sculture in bronzo di Giacometti era spesso preceduta da una versione delle stesse in gesso, una prassi seguita per la maggior parte delle opere plastiche. La particolarità dell’artista svizzero sta nell’aver trasformato -con raschiature, scalfitture e intagli– queste semplici “prove d’artista” in vere e proprie opere d’arte autonome, continuandone ossessivamente la lavorazione. In mostra si trovano ben 23 di questi rari gessi, alcuni dei quali -a causa della loro estrema fragilità- non sono mai stati esposti al pubblico, come Petit Buste d’Annette (1946).
Eccezionale poi la ricongiunzione, dopo decenni, tra il gesso originale -prestito, come per la maggior parte delle opere dell’artista, della Fondation Giacometti- e la successiva fusione in bronzo -parte della Collezione Beyeler- della celebre scultura Homme qui marche II (1960), una delle opere più iconiche di Giacometti.
I grandi trittici di Bacon
Accanto a a In Memory of George Dyer (1971), -opera appartenente alla Collezione Beyeler- il primo dei tributi postumi all’amico, modello ed amante del pittore, suicidatosi nella sua camera d’hotel nel 1971, due giorni prima dell’apertura della grande retrospettiva di Bacon al Grand Palais di Parigi, sono in mostra altri tre imponenti trittici dell’artista.
Triptych Inspired by The Oresteia of Aeschylus (1981), opera della sua produzione più tarda, documenta il confronto con la mitologia greca. Sono presenti in mostra anche Triptych (1967) -proveniente dal Hirshhorn Museum di Washington- e Three Studies of Figures on Beds (1972), appartenente alla collezione Esther Grether, un’opera raramente esposta che, in dialogo con i bronzi di Giacometti, approfondisce il magistrale confronto tra i due artisti messo in scena alla Beyeler, tra il dinamismo dei corpi dipinti e la staticità di quelli scolpiti.
La violenza del reale. Bacon e Giacometti vis-à-vis a Basilea. Le immagini
Bacon – Giacometti
29 aprile – 2 settembre 2018
Baselstrasse 101, CH-4125 Riehen/Basel