Il delicato equilibrio dei Luoghi Santi è al centro della mostra del Padiglione Israele. Fra gli echi di un conflitto permanente, la contraddizione di spazi che da aperti per vocazione, sono diventati chiusi. Giardini, fino al 25 novembre 2018.
Venezia. L’architettura sacra ha sempre un carattere particolare, stanti i caratteri di magnificenza e solennità che molto spesso la contraddistinguono, ma anche e soprattutto per il significato di ciò che questa architettura ospita; si tratta infatti di luoghi che richiedono sensibilità, discrezione e umiltà nel modo di frequentarli, perché deputati all’incontro con la divinità. Luoghi che dovrebbero estrinsecare i lati più nobili degli esseri umani, quali la tolleranza, il rispetto, la fraternità. Tuttavia, essendo l’individuo ampiamente perfettibile, accade che i luoghi sacri diventino luoghi di conflitto, anche sanguinoso. Purtroppo, ciò è particolarmente vero per quanto riguarda una delle regioni più “calde” del pianeta, ovvero quella israelo-palestinese, che per una strana e sfortunata coincidenza – in particolare nella città di Gerusalemme -, ha visto nei secoli affiancarsi e stratificarsi dottrine e comunità religiose, molto spesso in aperta competizione fra loro. Ciò ha portato, nel perimetro di spazi relativamente ristretti, alla nascita di una situazione conflittuale, fra religione diverse, ma anche fra differenti riti all’interno di un medesimo credo; una situazione anche paradossale, la cui problematicità, dopo quasi due millenni, non sembra potersi attenuare, stante anche la sovrapposizione con la sfera politica. In pochi chilometri quadrati si fronteggiano opinioni e interessi diversi, lo sviluppo della dialettica dei quali ha importanti ripercussioni anche nel resto del mondo.
A partire da una così delicata situazione dello spazio, i curatori Ifat Finkelman, Deborah Pinto Fdeda, Oren Sagiv e Tania Coen-Uzzielli hanno ideata la mostra In Statu Quo: Structures of Negotiation, incentrata sulla divisione, fra le varie confessioni e i vari riti, dei cinque più importanti luoghi sacri della Terrasanta: un ragionamento sull’uso strumentale dell’architettura nelle varie rivendicazioni del conflitto, ma anche la sua capacità di negoziare tra diverse identità attraverso la divisione degli spazi.
Israele è però un’area dai confini sensibili, che ricordano le frontiere europee ai tempi della Guerra Fredda, e la delicata divisione degli spazi sacri tra confessioni diverse o riti diversi all’interno della stessa confessione, è dovuta al permanere di equilibri particolarmente fragili. C’è poca libertà in queste divisioni, create per garantire, al più, la reciproca sopportazione, e non una reale condivisione. La chiesa del Santo Sepolcro, il Muro del Pianto, la Tomba di Rachele, la Tomba dei Patriarchi, l’Ascesa dei Mughrabi, sono i luoghi-chiave della mostra; di ognuno sono presentati i modelli in scala, affiancati da videoproiezioni, mappe e fotografie, che illustrano il luogo sacro in sé, la sua organizzazione interna, e la sua ubicazione.
Un Padiglione che racconta luoghi dove il fanatismo e l’irrazionale hanno avuto e continuano ad avere troppo spesso il sopravvento sulla razionalità: la strada che porta alla Tomba di Rachele, a Betlemme, ricorda il Check Point Charlie, incassata com’è fra muri di cemento e barriere di filo spinato; l’area del Muro del Pianto è opprimente quanto un bunker, il ponte dei Mughrabi, che costituisce l’unica entrata per i non musulmani che conduce sulla spianata del Tempio, ha la stessa valenza, ad esempio, del ponte di Allenby in Giordania: ovvero di una frontiera tra Stati. Quando invece i luoghi sacri dovrebbero essere aperti a tutti, ma qui lo sono con molta riluttanza. Un equilibrio che si mantiene ormai da secoli, reso ancor più precario dal conflitto scoppiato nel 1948 e mai veramente concluso; un equilibrio che si regge su ipocrisie e accordi temporanei.
In Statu Quo: Structures of Negotiation offre una lettura contemporanea di questo meccanismo unico e sempre sfidato di convivenza e il suo impatto sul paesaggio locale, utilizzando l’architettura come punt di vista per capire le strategie spaziali e temporali attraverso le quali i luoghi in conflitto riescono a mantenere il loro modus vivendi. Indica inoltre il ruolo critico dell’architettura in questi territori complessi e altamente contestati. Ma qui, l’architettura non avrà mai margine di manovra, poiché alla base dell’instabilità della Terrasanta risiedono ragioni che hanno la loro origine in approcci politici, più che religiosi, che sfiorano il fanatismo.
http://www.labiennale.org/it/architettura/2018