Christopher Bedford, direttore del Baltimore Museum of Art, decide di vendere opere di artisti come Warhol, Rauschenberg o Kline. Per “acquisire opere dei più importanti artisti neri e donne che lavorano negli Stati Uniti”
“Black and female artists”. Se non ci fossero le parole del direttore Christopher Bedford, riportate da una fonte autorevole come Artforum, si farebbe fatica a credere che questa vicenda stia realmente accadendo. Nell’orgia politically correct che ormai – rinfocolata dall’avvento di Trump, dal caso Weinstein e dal conseguente movimento #metoo – sta pervadendo la società americana in ogni settore, c’è un direttore di museo che non teme di dichiarare pubblicamente di accingersi a vendere un gruppo di opere di artisti maschi bianchi della collezione permanente, al fine di reperire fondi per acquisire lavori di artisti neri e artiste donne. Un’operazione volta non a diversificare la raccolta del Baltimore Museum of Art, non ad inserire genericamente artisti sottorappresentati, una pratica abituale specie per le istituzioni americane. Ma espressamente mirata a “proteggere” quelle che evidentemente vengono ritenute – neri e donne – “categorie” speciali, da salvaguardare forzosamente con atti straordinari.
Un provvedimento che dovrebbe in primis nauseare i “beneficiari”, ufficialmente eletti a categoria minore, meritevole di entrare in un museo non nel confronto aperto, ma soltanto con un gesto eccezionale. E che mette in cantina i normali canoni di valutazione di un’opera rispetto alla sua musealizzazione, ovvero l’importanza riconosciuta dell’autore, la sua contestualizzazione storica, la popolarità, magari il carattere precipuo dell’opera in oggetto, per dare preminenza a canoni inutili e pelosi come razza e genere. Un vero e proprio “razzismo” di ritorno. Che il direttore Bedford ribalta dichiarando che “i musei stanno entrando in una nuova era di accresciuta consapevolezza di pregiudizi e storie incomplete che devono essere affrontate“.
Per lui non conta che Andy Warhol, Robert Rauschenberg o Franz Kline – fra gli autori “bocciati” dalla sua nuova politica – abbiano guadagnato ruolo e riconoscimento in decenni di vaglio critico e storico: no, lui decide che i cittadini di Baltimora debbano al loro posto apprezzare autori che lui sceglie di eleggere a museali, che si tratti di Njideka Akunyili Crosby o di Odili Donald Odita o di Yoshihiro Tatsuki – fra i nomi dei “promossi” – poco conta. “Nell’acquisire opere dei più importanti artisti neri e donne che lavorano negli Stati Uniti, oltre a opere fondamentali da Corea, Cina, Messico e Giappone, ci auguriamo non solo di affrontare metodicamente le omissioni precedenti nella nostra collezione, ma anche di ampliare il canone e la narrativa storica raccontata attraverso l’arte“. Una narrativa scritta da lui, con buona pace del sistema ufficiale globale che costruisce e deve costruire i valori reali. E poi chiude con una vera e propria minaccia: “Questo gruppo di acquisizioni è solo l’inizio“…