Dopo il grande successo della mostra dedicata al genio pittorico di Frida Kahlo è Javier Marìn (Uruapan, 1962), uno dei più interessanti e suggestivi artefici della plastica contemporanea internazionale, l’artista scelto da MUDEC – Museo delle Culture per offrire ai visitatori una nuova esperienza artistico-emozionale d’impronta messicana.
Con la personale Corpus -a cura di Christian Barragàn- Javier Marìn torna a Milano con il carattere forte e travolgente delle sue grandi sculture adieci anni dal progetto che aveva invaso il centro città con le sue Cabezas (Teste),e dopo un centinaio di personali e oltre duecento collettive tenute negli ultimi 30 anni in Sudamerica, Stati Uniti, Canada, Asia ed Europa.
Divenuto famoso per le terrecotte e noto per le sue sculture monumentali esposte spesso all’aperto in grandi spazi pubblici, Marìn affida a una fiera statua equestre bronzea, di color rosso ealta oltre sette metri, il compito di accogliere i visitatori al civico 56 di Via Tortona e introdurli alla scoperta delle 36 opere d’arte che abitano –fino al 9 settembre 2018 – le sale del Mudec.
Sculture, opere pittoriche e grafiche che compongono Corpus sono state realizzate con tecniche e materiali diversi in un arco temporale ampio, 25 anni, a sottolineare tutti i passaggi salienti della ricerca dell’artista che pone al centro l’essere umano. Le opere – soprattutto per dimensioni e imponenza – sono caratterizzate da un forte impatto visivo ed emozionale, a cominciare dalla prima, la famosa En Blanco (In bianco), che torna in Italia dopo un trascorso illustre alla Biennale di Venezia del 2003.Ispirato probabilmente dai versi di Octavio Paz, messicano, premio Nobel per la letteratura nel 1990 che in Elfuego de cada dia(Il fuoco di tutti i giorni) scrive: “Brucia l’istante con un solo volto / i successivi volti della fiamma, / tutti i nomi sono un solo nome / tutti i volti sono un solo volto, / tutti i secoli sono un solo istante”, En Blanco è una monumentale installazione scultorea nella quale un fiume impetuoso, ma non infinito, ingrossato di centinaia di corpi umani frammentati, di arti e volti – i cui sospiri sembrano risuonare nello spazio sorprendendo lo spettatore con emozioni immediate – ci ricorda un altro fiume, irripetibile, quello di Eraclito, nel quale – secondo la Teoria del divenire–“non si può scendere due volte”.
L’artigianalità è un aspetto molto importante del lavoro di Marìn. Toccare la materia e tramutarla in forma torna a essere l’imperativo dell’artista Homo Faber. L’arte è ancora technè, recupero di unacoscienza creativa proveniente dalla cultura classica anche nel ritentare gli stessi materiali – il bronzo, il marmo, l’argilla – dopo che dagli anni settanta la scultura ha dimesso l’uso dei materiali tradizionali assumendone altri più quotidiani.
Con continui riferimenti all’antico e alla tradizione della scultura, in primis la sfida con le grandi dimensioni, la concretezza della forma e il peso della materia,le sculture di Marìn celebrano la grandezza virile della statuaria romana, dalla quale l’artista è attratto potentemente.
Sicuramente Marìn“attraversa” il Cinquecento, epoca che si manifesta proprio nella ripresa del modello classico, per trovare nel Barocco il momento di massimo vigore. Refleso V e VI, monumentali presenze dalla singolare forza, sono le sculture che maggiormente mostrano ammirazione e malinconia per le opere di questo periodo: idrappeggi sono trattati con lo stesso virtuosismo estremo, elemento essenziale a determinare e accentuare il carattere di foga e audacia compositiva, il cui appassionato gestire viene efficacemente assecondato ed esaltato dal movimento sinuoso delle vesti.
L’opera di Javier Marìn è così il risultato di un processo che concilia conoscenze e influenze culturali eterogenee dell’immenso repertorio della storia dell’arte occidentale capaci di dialogare in maniera sinergica grazie all’alto livello di sperimentazione linguistica e tecnica raggiunto dall’artista.
Con Marìn la scultura è riscattata da ogni stilizzazione. Le sue forme sono sempre assolute, compiute, facilmente leggibili e protese verso una riconoscibilità essenziale.“L’attualità” delle sue opere, la loro caratteristica specifica, risiede proprio nel loro presentarsi come corpi plastici tridimensionali, dopo che la forma,intesa nell’accezione classica, all’inizio del ‘900 si dissolve progressivamente.
Con il secondo dopoguerra avviene infatti la concreta rottura con la tradizione: la scultura scende definitivamente dal piedistallo rinunciando alle sue istanze celebrative, depurata dall’unità oggettuale a favore di una linea astratta-informale prima e performativa-installativa poi. Si impongono nuove visioni del reale e nuove interpretazioni del linguaggio plastico derivate dalla volontà di sperimentare nuovi materiali, approcci e mezzi, rivolte all’oggetto di uso comune che viene innalzato a valore artistico fino alle estreme conseguenze nell’ambito della scultura di installazioni e performance. Con Javier Marìn è tornata ad affacciarsi con orgoglio la narrazione e la figurazione, connotate da un alto livello di sperimentazione formale, tecnica e materica, come cosciente strumento per tentare nuove soluzioni in grado di saldare armoniosamente tradizione e innovazione.
Ma è in definitiva il corpo a rappresentare il fulcro dell’opera di Javier Marìn. Le figure hanno sempre posture che denotano un’intensa tensione ma composta, formalmente risolta, spesso indirizzata secondo dinamiche di torsione accentuate, che rimandano all’iconografia “manierista”. I corpi realizzati da Marìn sono soggetti a una lettura in movimento. Contorsioni, pose plastiche e ardite, deformazioni fisiognomiche e forme esplosegenerano attraverso dinamiche espressive efficaci una soluzione percettiva di narrazione per immagini che colpiscono lo spettatore in maniera imprevista e stimolano l’aspetto emozionale.
La concezione dello spazio di Javier Marìn è molto legata alle dinamiche della figura; non più solo ambiente nel quale l’opera viene collocata ma componente strutturale dell’opera stessa. Lo spazio è il primo materiale e l’elemento di base della costruzione di senso.
Le figure a grandezza naturale su piedistallo poi, simbolo della monumentalità di stampo accademico abolito dalle avanguardie di inizio secolo, offrono all’osservatore la possibilità di strutturare percorsi estetici soggettivi, favoriti dall’innalzamento del punto di vista. L’articolazione spazialedi Corpus invita lo spettatore a un percorso pedagogico, al recuperodelle capacità relazionali soggettive di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio.Il pubblico infatti viene chiamato ad affrancarsi dalla mera contemplazione passiva – in stile museale – per partecipare attivamente a crearsi una propria mappa percettiva, per integrare in maniera personale il percorso di senso ideato dall’artista.
Corpus è una mostra stimolante, coinvolgente e di grande valore esperienziale. Un’antologia dell’esercizio estetico attorno alla figura umananon solo come esercizio formale e parametro plastico, ma come riferimento concettuale con cui l’artista fonda la sua visione del mondo, della realtà; un catalizzatore di ideali e principi filosofici che lo affrancano dalla mera riproduzione mimetica e anatomica. Nella prospettiva di sfruttare il processo di costruzione e de-costruzione delle forme tridimensionali la scultura per Marìn non è soltanto la realizzazione di un volume ma diventa anzitutto una riflessione intellettuale sull’esistenza trattata e tradotta in forme plastiche e una preoccupazione di natura fondamentalmente poetica.
Come un gioco di specchitra visioni, riflessi, doppi, forme e unità, le sculture di Javier Marìn riproducono fedelmente il rapporto, ordinato ma anche caotico, con la realtà che ci circonda e con noi stessi. La sua arte entra pienamente in sintonia con il mondo e con l’esperienza primigenia della scultura, come corpo, con quel suo potere di dispiegare dalla materia modellata in forme titaniche quell’energia originaria e rituale che sembrava perduta.