L’archeologia notificata non fa più paura?
Solo 59 lotti, ma di rilevante interesse archeologico e provenienti da collezioni italiane, quindi notificati o a rischio di notifica, circostanza che, come è noto, ne rende impossibile l’esportazione al di fuori dei confini della Repubblica Italiana. Eppure l’asta di archeologia battuta da Bertolami Fine Arts lo scorso 26 giugno a Roma si è rivelata un successo: 80% dei lotti aggiudicati, percentuale di venduto pari al 71% del valore complessivo dell’asta e trattative in corso per la maggior parte dei lotti rimasti senza compratore.
Bertolami Fine Arts è stata una delle prime case d’asta italiane a mettere all’incanto archeologia notificata, una scelta fondata sulla scommessa che l’imposizione di un vicolo statale su un bene di interesse culturale non sempre ne azzeri la commerciabilità.
Giuseppe Bertolami, amministratore unico di BFA, traccia un bilancio del progetto: «Nel 2016, quando abbiamo proposto il primo catalogo di reperti archeologici vincolati, eravamo molto incerti sull’esito dell’esperimento, che invece si è rivelato meno temerario del previsto. La clientela formatasi attorno a questo tipo di aste è costituita prevalentemente da collezionisti italiani, appassionati autentici pronti a innamorarsi dell’idea di entrare in possesso di un oggetto di speciale importanza il cui prezzo risulta però calmierato dal provvedimento di tutela adottato dallo Stato italiano. Con nostra suprema sorpresa siamo persino riusciti a intercettare compratori stranieri che acquistano pezzi da conservare nelle loro case italiane, o, addirittura, in depositi situati all’interno dei confini nazionali».
Proprio così: la notifica non è più un tabù, anzi, un’inaspettata evoluzione delle tendenze del mercato di settore la sta trasformando in una peculiarità del reperto da alcuni assai apprezzata.
Ne spiega il motivo Andrea Pancotti, responsabile del dipartimento di Archeologia della casa d’aste di Palazzo Caetani Lovatelli: «Gli appassionati di archeologia classica oggi cercano finezza di stile abbinata a ottimo stato di conservazione e accertata provenienza. Insisto sull’ultimo punto, la provenienza: il “pedigree” di un pezzo sta diventando un elemento fondamentale su cui i compratori non sono più disposti a transare. Questa esigenza è talmente forte da aver determinato un nuovo orientamento del collezionismo di settore rispetto alla notifica, oggi percepita come imbattibile attestato di autenticità e lecita provenienza che, in più, impedendo l’esportazione del reperto, ha anche il vantaggio di abbatterne il prezzo. Quanto sarebbero stati valutati gli splendidi sarcofagi romani che abbiamo battuto a Villa Blanc? Non meno di 140.000/150.000 euro, mentre chi se li è aggiudicati da noi l’altra sera sborserà somme che non arrivano a 40.000».
Al centro dell’interesse dei compratori marmi e ceramiche. Com’era prevedibile, vista l’eccezionale e documentata provenienza, venduta quasi per intero la raccolta di reperti marmorei appartenenti agli arredi originari di Villa Blanc, la sontuosa dimora in stile eclettico commissionata nel 1896 all’architetto-archeologo Giacomo Boni dal barone Blanc, ministro degli esteri di due governi Crispi. Passati di mano due dei pezzi più ammirati della storica collezione: Il Sarcofago del Buon Pastore, un marmo romano del III secolo d.C. venduto a € 31.250, e il Sarcofago di Amore e Psiche, realizzato tra fine del III e inizio del IV secolo d.C. e venduto a € 36.250.
Tra i marmi, una tipologia di reperti in questo momento particolarmente gradita ai collezionisti, ottima anche la performance di un busto di Caracalla come Attis, dichiarato d’interesse archeologico particolarmente importante dalla Soprintendenza Archeologica di Roma. La splendida scultura, probabilmente eseguita intorno al 205 d.C., il periodo del consolato del giovane Caracalla con il fratello Geta, è stata venduta a 100.000 euro. Per 15.000 euro è invece passata di mano una statua di Dioniso del I-II secolo d.C. che partiva da una base d’asta di 7.000.
Aggiudicate anche due splendide tanagrine magnogreche di qualità estremamente alta sia per finezza stilistica che per perfetto stato di conservazione. Ascrivibili entrambe a un’epoca compresa tra la fine del IV secolo a.C. e l’inizio del III, partendo da una base d’asta di 1.000 euro sono passate di mano per 5.250 euro (lotto 1, tanagrina con tholia) e 3.500 (lotto 2, tanagrina ammantata).