Foxtrot di Samuel Maoz, Leone d’Argento 2017 a Venezia. Tutto ritorna da dove inizia: i passi di danza e la propria vita
Era il 2009 quando Lebanon di Samuel Maoz vinse alla Mostra internazionale cinematografica di Venezia il Leone d’Oro. Otto anni più tardi il regista israeliano ha presentato alla 74ª edizione del medesimo Festival il suo nuovo lungometraggio, Foxtrot, conquistando stavolta Leone d’Argento.
Una storia che sembra ripetersi per il regista che fa della guerra la sua tematica imprescindibile. Nella prima pellicola racconta lo scontro dell’esercito israeliano in Libano del 1982, restituendolo allo spettatore con uno sguardo ferito dalla sua personale esperienza che lo vede partecipe a soli 20 anni dell’invasione del Libano da parte di Israele. Qui i protagonisti sono rinchiusi in un claustrofobico carro armato.
In Foxtrot la stessa “prigionia” è resa dalle scelte stilistiche del regista e dagli stessi spazi dove il protagonista Jonathan e gli altri soldati vivono. Un container, che di giorno in giorno sprofonda sempre più nel fango, è la loro momentanea dimora nel mezzo del deserto.
Foxtrot è diviso in tre chiarissimi atti, tutti perseguitati dall’incombenza della morte. Il primo atto si apre nella casa della famiglia di Jonathan dove i suoi genitori Michael e Dafne Feldmann vengono coinvolti in un macroscopico equivoco: dei soldati gli comunicano la morte di loro figlio. Cala la disperazione che porta i signori Feldmann a reagire in modo brutale.Di colpo il secondo atto: il film cambia e troviamo tutt’altra ambientazione. Quattro giovani soldati nel bel mezzo del nulla riempiono le loro giornate con turni di guardia, una lattina che dimostra l’affondare del container e controlli in un posto di blocco deserto dove spesso l’unico a materializzarsi è un surreale dromedario.
Il terzo atto ci accompagna nuovamente nella casa borghese. Lo spettatore però non trova una risoluzione immediata, anzi le riprese dall’alto persistono e rendono la visione del film ancora ricca di tensione; si dovrà attendere l’arrivo della figlia Alma per sancire una pace. Quella dei Feldmann è una famiglia legata dal dramma della guerra: a partire dalla madre di Michael che vinta dall’Alzheimer non ricorda i campi di concentramento, passando per Michael che rivela a Dafne il suo più grande segreto solo alla fine del film, concludendo con Jonathan che ne è forse più vittima di tutti.
Il trotto della volpe, “Foxtrot” appunto, è il ballo che con quattro semplici passi stabilisce l’inizio di una danza che si conclude sempre nel punto di partenza. La danza del destino non dimentica, così come le nostre vite non ci permettono di lasciare indietro i luoghi e le esperienze da dove siamo partiti.