Alfred Seiland. A Vienna una retrospettiva racconta attraverso 65 lavori l’opera di uno dei maestri europei della fotografia a colori. Fino al 7 ottobre 2018
In anteprima mondiale all’Albertina Museum, la nuova serie fotografica sull’Iran, ancora in corso di completamento.
Fotografo poliedrico, Alfred Seiland (1952) negli anni ci ha regalato reportage dal sapore storico-archeologico, di riflessione sulla giustapposizione del presente sul passato, di indagine antropologica e, fra le righe, anche politica. Viene omaggiato con una retrospettiva curata da Anna Hanreich, che ne ripercorre l’intera carriera attraverso cinque dei suoi reportage più emblematici, dagli esordi sul finire degli anni Settanta negli Stati Uniti d’America, agli ultimi scatti in Medio Oriente di pochi anni fa, per terminare con quelli in Iran, una serie a cui Seiland sta ancora lavorando.
Artista dotato di una raffinate estetica giocata sul colore, sin dai suoi esordi amatoriali con la pellicola – ancora ragazzino a metà anni Sessanta -, fu attratto dall’aria di cambiamento che soffiava dagli Stati Uniti d’America. A partire da quegli anni, infatti, la fotografia a colori stava lentamente affermandosi su un piano di parità con quella in bianco e nero, in antitesi con una certa accademia continuava a considerarla l’unica dotata di dignità artistica, riservando al colore soltanto la pubblicità o i servizi di moda.
Fotografi come Joel Meyerowitz, Stephen Shore e William Eggleston,imposero invece una nuova visione dell’immagine su pellicola, e su loro iniziativa nacque la corrente informale della New Color Photography. Il movimento, attraverso l’uso del colore, raccontò la realtà dell’America dell’epoca, concentrandosi sulle aree periferiche e criticando l’American Dream, che negli anni Settanta mostrava le prime crepe.
Alla NCP si ispirò Seiland, che dal 1975 frequentava abitualmente gli USA, attratto sia dal vivace clima artistico, sia da quella realtà, urbana e naturale, così profondamente diversa da quella europea, e che accendeva la sua fantasia di fotografo documentario. E proprio a questo grande Paese dedicò il suo primo lavoro importante, ovvero la serie East Coast – West Coast completata in quasi dieci anni di lavoro, dal 1979 al 1986.
Seiland si muove sulle orme dei suoi maestri, in molti casi fotografa i medesimi luoghi, e realizza un reportage dedicato al senso dell’avventura e del movimento che i grandi spazi americani permettono, a quella natura aspra e selvaggia solcata da migliaia di chilometri di strade, lungo i quali sorgono i simboli del nomadismo americano. Dai motel, le stazioni di carburante a quelle casette prefabbricate pronte per essere smontate e partire in qualsiasi momento. Seiland non è fotografo dell’individuo, eppure la presenza umana la si avverte comunque, all’interno di quelle camere da pochi dollari a notte, o di quelle casette dall’aria malferma.
Sullo sfondo emerge l’America narrata da Raymond Carver, quella operaia e precaria, capace di contenere la vita in una valigia, e ricominciare da capo nello spazio di ventiquattr’ore. Seiland la racconta con indiretta poesia, da Est a Ovest, tralasciando le grandi città e dedicandosi alla provincia, all’America profonda meno celebre e celebrata: Truro nel Massachusets, Odessa nel Delaware, Toltec in Arizona, sono alcune delle cittadine da cui è passato l’obiettivo di Seiland, soffermandosi sui giochi di luce, sui contrasti dei colori, regalandoci scorci dalla profonda intimità.
Altro campo d’indagine, dopo gli USA, fu l’Austria, che a partire dagli anni Settanta riscosse un interesse sempre crescente da parte dei suoi fotografi. Fra questi, anche Seiland, che avviò il suo reportage, Austria, nel 1981, e come ormai d’abitudine lo portò avanti per oltre un decennio, fino al 1995. L’interesse alla riscoperta del Paese nacque dopo i decenni difficili di disorientamento, gli anni Cinquanta e Sessanta, che seguirono alla Seconda Guerra Mondiale e nei quali gli austriaci dovettero lottare psicologicamente per riappropriarsi della loro identità e del proprio fastoso passato, e da quelle basi stabilire un nuovo senso di appartenenza alla realtà circostante.
Nel suo reportage, Seiland ha tratteggiato un ritratto decisamente realistico del Paese, al di fuori degli stereotipi idilliaci della quiete campestre e della neve fiabesca. Con garbo, dà corpo ai mille episodi della vita quotidiana, ancora una volta evitando i grandi centri e rimanendo nella “provincia”: un parcheggio di autobus, un branco di oche starnazzanti sotto la pioggia, una fila di lenzuoli stesi ad asciugare in una giornata di neve. Frammenti di quotidianità nei quali l’aspetto artistico emerge nel bilanciamento della gradazione cromatica e nella nitida messa a fuoco.
L’elemento geografico viene meno nella fotografia di Seiland quando nel 1995, su incarico della Frankfurter Allgemeine Zeitung realizza la campagna“Sempre una mente intelligente dietro di sé”. Terminata nel 2001 è valsa all’autore numerosi premi internazionali. Qui Seiland è alle prese con personaggi famosi nell’atto di leggere il celebre quotidiano, ritratti in ambienti a loro familiari; la montagna per Reinhold Messner, la collina di Hollywood per Billy Wilder, eccetera. La particolarità di queste fotografie è che il personaggio di turno resta costantemente appartato, al punto che lo si individua a fatica, e sempre comunque con il volto nascosto dal giornale spiegato. Seiland gioca con il contrasto presenza/assenza, accentua il carattere artistico della sua fotografia, e costruisce ardite soluzioni prospettiche.
Geografia, antropologia, e incidentalmente anche la politica, tornano di scena nel 2006, quando Seiland svolge un lavoro di indagine storica sulla china dei secoli, fra l’Europa e il Medio Oriente. Con Imperium Romanum – una delle serie più vaste con i suoi centotrenta scatti -, il fotografo indaga cosa si è affiancato nei secoli alle antiche strutture costruite dai conquistatori romani in quello che era il mondo conosciuto all’epoca. I secoli sono stati impietosi, e la realtà attuale lascia a volte un certo sgomento, come accade ad esempio in Egitto, dove le rovine romane sono inglobate in un caotico suk della città vecchia del Cairo, e salgono alla memoria le vedute del Portico di Ottavia eseguite da Piranesi, quando anche Roma nel Settecento versava nel medesimo caos cencioso di certe città mediorientali.
Anche le tensioni fra Stati contribuiscono purtroppo a rendere difficile la fruizione della bellezza del patrimonio archeologico, ad esempio in Israele: la Spianata delle Moschee – il cui spazio fu creato nel 70 d.C. quando l’Imperatore Romano Tito rase al suolo il tempio ebraico che celebrava il ritorno in patria dalla cattività babilonese -, è oggi uno dei siti archeologici con le misure di sicurezza più imponenti, teatro di frequenti scontri fra guerriglieri e civili palestinesi da un lato, e l’esercito israeliano dall’altro. E ancora, l’obiettivo di Seiland cattura la spiaggia di Rimini in versione notturna, poiché qui finiva la celebre via consolare Flaminia. Fino ad arrivare a un anfiteatro in Bulgaria, schiacciato dalla mole di un centro commerciale che vi sorge appena sopra, coprendolo in parte.
Presenze antiche che spuntano con tenacia in contesti assai differenti, ma nei quali la forza della modernità, nei suoi vari aspetti, sembra mettere a repentaglio la sopravvivenza di queste testimonianze del passato, o comunque le sfregia in maniera così profonda da cancellarne quasi il significato. Il rapporto con il nostro passato risulta quindi convulso, drammatico, a volte persino conflittuale.
La serie Imperium Romanum è stata ispirazione per un lavoro di approfondimento sull’Iran, presentato per la prima volta al pubblico in questa retrospettiva. Dai memoriali della sanguinosa guerra con l’Iraq – combattuta fra il settembre del 1980 all’agosto del 1988 -, agli insediamenti sperduti nel deserto, l’obiettivo di Seiland ci racconta un Paese le cui ferite non si sono ancora completamente rimarginate, e che al di fuori delle grandi aree urbane continua a nascondere vaste aree di povertà e sottosviluppo.
La retrospettiva viennese fa luce sull’accurato lavoro di Seiland, che dietro l’impostazione artistica delle proprie fotografie coglie sottili aspetti della realtà di Paesi e persone, sfiorando anche difficili tematiche politiche. Ma a distanza, come a voler mantenere l’indipendenza dell’arte dalle più prosaiche vicende quotidiane.
Informazioni utili
Alfred Seiland
Fino al 7 ottobre 2018
Albertina Museum, Albertinaplatz 1, Vienna
*Alfred Seiland – Muro del Pianto e la Spianata delle Moschee, Gerusalemme, 2013 © Alfred Seiland