Gus Van Sant con Don’t Worry porta al cinema, con Joaquin Phoenix, la storia e la vita di John Callahan. La recensione
Don’t Worry non è un biopic qualunque, d’altra parte non è neanche la storia di un uomo qualunque. Se proprio vogliamo aggiungere anche il regista e l’attore protagonista non si possono proprio definire due emblemi della normalità.
Don’t Worry è il nuovo film di Gus Van Sant, per chi non lo conoscesse è un regista statunitense nato come artista visivo/fotografo, poi riconosciuto a Hollywood per la sua capacità di raccontare la pura e cruda adolescenza in uno squisito gioco di colori. Noti a tutti dovrebbero essere il caschetto giallo canarino di Elephant e le posture scomposte di Paranoid Park. Se così non fosse, consiglio di correre subito ai ripari.
Presentato in concorso al Festival di Berlino 2018, Gus Van Sant firma un biopic ispirato alla vita del fumettista satirico John Callahan. Il titolo della pellicola si rifà infatti ad una celebre vignetta del disegnatore che vede uno sceriffo e i suoi vice fermi davanti a una sedia a rotelle vuota che dice “Non preoccupatevi, a piedi non andrà lontano”.Per chi non lo conoscesse, John Callahan è un fumettista di Portland rimasto paralizzato a 21 anni dopo un incidente automobilistico causato dall’abuso di alcool e scomparso poi nel 2010. Dopo l’incidente quasi mortale, Callahan inizia una carriera da fumettista stringendo in modo approssimativo una penna tra le mani e trattando argomenti di cruda satira. Segni particolari, tanti: paralisi dal busto in giù, capelli rosso irlandese, alcolismo e humour nero.
Inizialmente Callahan doveva essere interpretato da Robin Williams, con cui Gas Van Sant aveva già lavorato in Genio Ribelle, anni dopo il regista riprende il progetto con Joaquin Phoenix che si dimostra più che all’altezza del ruolo. Una vera prova di recitazione che potrebbe facilmente condurlo all’Oscar.
Il film pur partendo di fatto da una storia biografica non è un biopic nel senso più tradizionale del termine. A fine pellicola poco si saprà della carriera del fumettista, si saprà invece molto di uomo vittima di alcolismo e sindrome da abbandono – la madre lo abbandona definitivamente a 8 anni – che in giovanissima età si ritrova in ospedale su un letto di un ospedale, stile uomo vitruviano, completamente paralizzato.
È il modo con cui il regista e Phoenix entrano nella dimensione più intima di un uomo, dal movimento degli occhi al movimento approssimativo delle mani, che lascia a bocca aperta. Siamo di fronte al classico esempio di regista e attore che si parlano attraverso la cinepresa, ballando in sincronia una danza a due.
Don’t Worry fin dalle prime riprese pone lo spettatore in una sorta di visione onirica, quasi sospesa tra la vita e la morte: una serie di stop e go, flash-back e flash-foward, inneschi tragicomici e vignette. A tratti però il film mantiene le sembianze, seppur scomposte, di un documentario che ricostruisce la storia di un uomo che si ritrova in mano pezzi di vita da ripercorrere pur non avendone apparentemente le forze, e sembrerebbe molte volte neppure la volontà.
Sia in nei tratti biografici sia in quelli più onirici c’è una linearità narrativa che si coglie nella volontà del regista di restituire l’intensità della lotta alla dipendenza e l’urgenza di trovare un senso alla vita. Cosa c’è nella mente di un uomo abbandonato, mai riconosciuto, che affonda nel bere le sue tremende paure? Cosa c’è nella mente di un uomo che da ubriachissimo si risveglia su una sedia a rotelle paralizzato da busto in giù?
C’è la capacità furiosa di guardare le cose intorno a sé con un occhio irriverente, la stessa che metterà poi nei suoi disegni e nelle sue vignette.
Le vignette, che Gus Van Sant non rinuncia a mostrarci per accompagnare la crescente consapevolezza di quell’arte del suo Callahan, rappresentano da una parte le pietre miliari di un cammino verso la salvezza, dall’altro un intelligente mezzo del regista per muoversi con sapienza tra dramma e commedia.
Squisitamente tragicomiche sono le riunioni degli alcolisti anonimi a cui aderisce, dove spiccano Beth Ditto e Jonah Hill (in dei panni davvero insoliti), entrambi dissacranti e allo stesso tempo incredibilmente umani. Seguendo gli step di un percorso di disintossicazione, dettati da un biondissimo guru-terapeuta, Callahan ripercorre le sue scelte, le relazioni, gli incontri, sfreccia tra le strade su due ruote, si autocommisera di fronte a una bottiglia di Vodka irraggiungibile, si ribalta e alla fine ritrova pure l’erezione.Un cammino tortuoso e politicamente scorretto, al centro un uomo che vuole perdonarsi a poco a poco, un pezzo di vita in più, reso con la solita capacità di Gus Van Sant di incastrare una sequenza di scene che hanno i colori e le emozioni di una fotografia stampata.
Don’t Worry racconta decisamente più che la carriera di un fumettista in sedia a rotelle, racconta la rinascita di uomo che arriva quasi a perdere la propria vita per poter perdonare finalmente se stesso.