Girl, dal 27 settembre al cinema, il film più premiato all’ultimo festival di Cannes. Il debutto di un giovane regista che ha già lasciato il segno
Presentato in concorso nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2018, Girl si è aggiudicato il premio Caméra d’or come migliore opera prima, il Premio alla migliore interpretazione della sezione Un Certain Regard, il Premio Fipresci e la Queer Palm.
Questo di Lukas Dhont, giovanissimo regista belga (classe 1991), è un debutto che ha già lasciato il segno.
Protagonista del film è Lara, adolescente con la passione della danza classica: insieme al padre e al fratellino si è trasferita in un’altra città per frequentare una prestigiosa scuola di balletto, a cui dedica tutta sé stessa. Ma la sfida più grande è riuscire a fare i conti con il proprio corpo, perché Lara è nata ragazzo… Girl segna due debutti-rivelazione: quello del ventisettenne regista Lukas Dhont e quello, non meno sorprendente, del giovanissimo protagonista Victor Polster.
Girl è una storia sul desiderio e sull’urgenza di essere sé stessi. Un film fatto di carne e ossa che si flettono, si stendono, si contraggono e si contorcono. Quello di Lara, la protagonista, è un corpo martoriato, contemporaneamente prigione e prigioniero. È un corpo contro cui combattere, da ammaestrare alla forza dei propri sogni: essere una donna, innanzitutto, e in particolar modo una ballerina.
Edward B. Taylor, un antropologo culturale, considerava la danza come uno strumento per agire sulla realtà in mancanza di altre “strategie più raffinate”, un modo per l’uomo di esprimere sentimenti e desideri, e in Girl incarna a pieno questo slancio. La danza (esattamente come il cinema) è un linguaggio che può, al contempo, riflettere e resistere ai valori culturali, incarnando nella propria espressione valori apparentemente in contrasto tra loro.
La figura della ballerina classica è di per sé una contraddizione in termini: incarna e rappresenta alcuni stereotipi della femminilità (grazie, leggiadria, delicatezza) mentre interpreta un ruolo che li contraddice, richiedendo forza, accuratezza e dolore. Dhont e Polster mettono in scena un doppio corto circuito, dando anima e corpo a una ballerina che combatte con il fisico di un uomo, utilizzandolo così la danza come veicolo per raccontare un (sofferto) percorso identitario in cui il corpo della protagonista rinnega sé stesso, alla ricerca di una nuova forma in cui identificarsi.
Il valore di un’arte come quello della danza non solo rispecchia una cultura (e i suoi valori sociali), ma è anche in grado di contestarla, contribuendo a dar forma a nuovi cambiamenti, e il cambiamento (desiderato, sofferto, all’apparenza irraggiungibile) è centrale nella storia della giovane, ma già determinatissima, Lara.
Quella di Victor Polster è una prova attoriale incredibile: sobria, scarna quasi, eppure intensa e potente. Lukas Dhont lo dirige senza cascare nei tranelli del patetismo e del sensazionalismo, lontano da ruffianeria in stile Danish Girl e limitrofi. Un doppio debutto, il loro, che non può lasciare indifferenti.