A sei mesi dall’insediamento, la nuova direttrice del Centro Pecci di Prato illustra il nuovo corso artistico che intende portare in città, e il nuovo rapporto fra questa e il suo museo.
Su quali punti-chiave intende focalizzare il suo mandato? Quale aspetto del Pecci vorrebbe valorizzare in maniera particolare?
Penso il museo come luogo aperto della città, un luogo di creazione, innovazione e conoscenza ma anche d’incontro e di scambio. Una “casa comune” accessibile e aperta a tutti, dove diversi linguaggi della creatività siano in dialogo.
Il punto chiave da cui ho inteso iniziare è stato quindi il recupero di tutte le funzioni e di tutti gli spazi del Pecci, che nacque come luogo non esclusivamente deputato all’arte contemporanea, bensì aperto anche ad altri artistici, dalla musica alla performance al teatro. Dopo l’inaugurazione dell’ampliamento del museo, nel 2016, e la relativa ristrutturazione del vecchio edificio, molti di questi spazi e funzioni non erano stati ancora riattivati, anche se si è aperta una nuova sala cinema, con programmazione quotidiana di prima visione, a rassegne, anteprime etc. Dal mio arrivo al Pecci mi sono impegnata per il recupero del teatro all’aperto, 950 posti, restaurato e tornato in uso durante l’estate per il programma di concerti Pecci Summer Live, per l’apertura del nuovo bar bistrò, che sarà inaugurato per il trentennale, per la riapertura delle sale didattiche, che a partire dal nuovo anno torneranno a ospitare il programma educational, progettato nelle sue linee fondanti da Bruno Munari e infine per il rilancio del CID, centro di documentazione e biblioteca, che sarà riaperto, sempre a inizio 2019, con orario prolungato e nuovi dipartimenti, come quello dedicato alle pubblicazioni su arte, architettura e design pensate per i bambini. Il museo deve parlare alla scena nazionale e internazionale, ma in primis è alla città che deve rivolgersi. Lo vorrei quindi frequentato per le mostre, così come per un caffè, un film, una conferenza, le attività didattiche. L’obiettivo è quello di rifarne un centro culturale a 360°, con spiccata, funzione sociale, non solo culturale, soprattutto in quest’epoca in cui c’è bisogno di confronto.
Credo sia poi molto importante, a proposito di confronto, che il museo proponga una molteplicità di sguardi sulle cose, che abbia più voci in dialogo, ragionando sulla differenza. Sicuramente nel mio programma darò un’attenzione particolare al punto di vista femminile, perché in questi tre decenni di storia del Pecci, a ben guardare, le donne sono state molto poco rappresentate. Ma la differenza di genere è solo un aspetto dell’alterità, che oggi più che mai va coltivata e difesa e che è un valore che al Centro Pecci vorrei affermare.
Oltre al dialogo con la città, vorrebbe aprirne anche uno con tutto il territorio regionale, visto lo status del Centro? Ha in programma collaborazioni con altre istituzioni toscane del settore?
Il Centro Pecci ha il ruolo di coordinatore della scena contemporanea regionale. È mio interesse e mio compito creare una rete e sto cercando di capire quale possa essere la formula più efficace per far sì che questo ruolo funzioni al meglio. Credo ad esempio che possa essere utile fare del Pecci un collettore di informazioni su quanto accade sulla scena artistica toscana, anche tramite il sito, un attivatore di contatti. Ben vengano le collaborazioni, ma devono essere mirate. Al momento sto rafforzando il rapporto con Firenze, nell’ottica di far lavorare il museo in relazione a una grande area metropolitana, che comprenda, oltre a Prato, Firenze e Pistoia e che potrebbe allargarsi anche fino a Bologna. Al momento sto lavorando con Palazzo Strozzi, il Museo del Novecento, il festival Schermo dell’Arte. In quest’ottica sono felice che il museo sia appena entrato nel circuito della FirenzeCard.
Prato è purtroppo una città in forte crisi. Come pensa di riportare in città un po’ di entusiasmo attraverso gli stimoli artistici? Cosa ritiene manchi alla città per riprendere fiducia?
Ho vissuto qui fra il 1991 e il 1992; tornando dopo un quarto di secolo, ho trovata una città attraversata da forti cambiamenti, sociali, economici e di stato d’animo. Ma da un punto di vista lavorativo, devo dire che è molto stimolante, perché esprime molte delle tensioni contemporanee. Non mi sembra propriamente una città sfiduciata, la vedo invece propensa a guardare avanti, come accadde nel ’74 quando accolse la scultura di Moore, e nell’88 quando aprì il Pecci. E adesso, la programmazione urbanistica cittadina, come il parco pubblico nell’area dell’ex ospedale, mi sembrano segni di vitalità e ricerca. Il Pecci deve inserirsi in questa città-laboratorio proponendosi come un’istituzione che ogni cittadino, italiano o straniero, giovane o vecchio, esperto o non esperto d’arte, possa sentire sua.
Le mostre che segneranno il suo mandato saranno caratterizzate da un fil rouge particolare, oppure le tematiche saranno più di una?
Affronteremo naturalmente una pluralità di tematiche, ma a livello di macrocategorie, posso dire che mi interessa molto l’arte che affronta i grandi temi del presente, le “forze sismiche della contemporaneità”, ad esempio il modo in cui la tecnologia ha cambiato modo di relazionarci, di informarci, di generare immagini eccetera. E dato che Prato sta sperimentando il 5G, mi sembra il luogo adatto per ospitare una riflessione, attraverso l’arte, sulla vera e propria rivoluzione portata dal digitale. Altre questioni affrontate saranno la gestione della democrazia, la discussione politico-filosofica, il multiculturalismo, di cui fino a oggi il museo ha parlato stranamente poco. Infine, come accennato sopra, ci sarà spazio per tematiche legate all’identità di genere, oltre all’intersezione con musica e teatro. Anche quest’anno, ad esempio, ospitiamo alcuni spettacoli di Contemporanea Festival.
Ci sarà spazio anche per le proposte di giovani curatori, all’interno del calendario del Pecci? Potrebbe essere un modo in più per aprirsi al territorio e ascoltare le idee che vengono dal mondo giovanile.
Vorrei creare dei momenti di confronto e dialogo con i giovani, vorrei che il museo fosse una piattaforma in questo senso. Ricordo che quando partecipai al Forum della Cultura, mi piacque l’impostazione del dialogo, che vorrei appunto riproporre. Sto lavorando all’idea di un format, che penso però di sviluppare nel tempo. Credo sia comunque importante che le proposte esterne, siano o no di giovani curatori, rientrino in modo chiaro e coerente all’interno di una visione del museo, Le project room slegate dal resto, le mostre episodiche al fine di coinvolgere il territorio e creare consenso, francamente non mi convincono. A proposito di giovani, mi fa piacere dire che il museo ha delle straordinarie risorse interne, uno staff molto preparato e capace che voglio valorizzare.
Ritiene che tre anni siano una durata sufficiente per un mandato dirigenziale in un’istituzione importante come quella pratese, e soprattutto in un settore come quello dell’arte, che richiede tempi medio-lunghi per realizzare i progetti?
Non sono tantissimi; a ben guardare, il primo serve per assestarsi e portare a termine i progetti della gestione precedente. Ne rimangono quindi due, però, se si ha la dovuta autonomia e un budget ragionevole, si può riuscire a sviluppare un buon programma. È indispensabile, quindi, la sicurezza di una prospettiva, per lasciare al museo una sua identità. Devo comunque ribadire che posso contare su uno staff giovane, motivato e capace: una potenzialità indubbia per i progetti che vogliamo sviluppare.
Quest’anno ricorre il trentennale del Pecci. Come lo vivrà il museo, quali eventi sono stati pensati anche per la città?
Per la precisione, il trentennale caduto il 25 giugno, e abbiamo aperto i festeggiamenti con una tre giorni che ha illustrato le linee del museo: c’è stato un intervento nello spazio urbano con il progetto di arte pubblica al Macrolotto Zero, che ha avuto per tema il multiculturalismo. Poi, al Pecci si è tenuto un incontro con Maurizio Nannucci, Sergio Risaliti, Edoardo Nesi, che hanno raccontato il Pecci, la città e la Toscana, dall’88 a oggi. Infine, l’istallazione di Loris Cecchini, presentata a Firenze.
Il 21 settembre si arriva al culmine della celebrazione, con un lavoro di riallestimento del museo che parte dalla decisione di dare piena leggibilità architettonica ai due corpi del museo, per rendere visibile un dialogo che sino ad ora si leggeva poco. In un’ottica di analisi e riflessione sul museo, abbiamo dunque riportato “alla luce” lo spazio di Gamberini, con le riaperture dei lucernari e l’abbattimento partizioni e chiusure realizzate nel tempo; e ancora, è stato tolto l’albero di Oliveira nell’anello di Nio, per cui ora la monumentalità dello spazio risalta di più. È stato poi effettuato un lavoro di studio sugli archivi, con una ricerca di immagini, video, documenti, tradotta in una timeline disegnata dallo Studio Sara De Bondt, riprodotta sulla parete dell’anello di Nio; poi, in collaborazione con il dipartimento di statistica del PIN, è stato compiuto uno studio statistico sull’archivio, analizzando i numeri del museo. E ancora, un’analisi semantica dei testi prodotti dal museo, per capire cosa questo abbia realmente detto.
Infine, si è pensato a un riallestimento delle opere della collezione, proponendo una mostra, Il museo immaginato, con opere scelte attraverso la storia delle mostre fatte al Pecci in questi trent’anni. Per quanto riguarda le “contaminazioni”, ci sarà lo spettacolo della compagnia Kinkaleri, e una performance di Marcello Maloberti (per la giornata del Contemporaneo, il 13 ottobre). Avremo poi la ripresa della Pecci School, con incontri dedicati alle nuove capitali dell’arte (Dakar, Istanbul, Shanghai, ecc.), raccontate dai curatori che ci hanno lavorato. Il museo riparte da sé, dal suo passato, dal suo DNA, ma guarda avanti.
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…..Complimenti Dr.ssa Petrella per alcuni di noi il Centro Pecci sta diventando un punto di riferimento …… In questo momento sto cercando notizie circa un evento per Domenica 03/03/2019
….. Ho un appunto sul calendario “Federico secondo e le crociate” ma nn ho scritto il nome del relatore né l’orario di quella che dovrebbe essere una interessante “Lectio Magistralis”