The wife – Vivere nell’ombra, Glenn Close torna protagonista sul grande schermo. Al cinema dal 4 ottobre
Glenn Close è così, forse la più brava attrice vivente a caccia dei film più dimenticabili di sempre. Chissà come funziona. Ha poco fiuto lei? Non le interessa? Una cospirazione di Hollywood? Chissà (tra l’altro lo stesso discorso vale anche per Susan Sarandon). A parte rare eccezioni la sua filmografia recente è costellata da film che uno si chiede come ci sia finita (Matrimonio con l’ex, 2 gran figli di…), per trovare un film degno di nota, interessante per lo meno, doppiamo tornare al 2004 con La moglie perfetta. Discorso diverso per il piccolo schermo dove, grazie a Damages (2007-2012), ci ha regalato uno dei suoi personaggi più memorabili di sempre: Patty Hewes.
Questo The Wife – Vivere nell’ombra (in uscita in Italia il 4 ottobre), va detto, non è tra quelli più tremendi, e -soprattutto- pare che sia quello che potrebbe portarla finalmente all’Oscar: 6 nomination collezionate negli anni, ma ad ora nemmeno uno agguantato. Come miglior attrice protagonista, Glenn Close è stata scippata prima da Cher nel 1987 quando era stata nominata per Attrazione Fatale, ma Cher che non l’aveva vinto nell’84 per Silkwood è stata “risarcita” tre anni dopo per Stregata dalla luna. Poi nel 1988 è stato l’anno di Jodie Foster, premiata per Sotto accusa lasciando Glenn Close a bocca asciutta nonostante la sua performance (leggendaria) in Le relazioni pericolose. Poi ancora, nel 2011 al suo posto è stata premiata Maryl Streep per The Iron Lady (ma in quel caso Glenn Close era in lizza per un film talmente brutto, Albert Nobbs, che è andata bene così).
In compenso Glenn Close fino ad ora ha collezionato 3 Tony, 3 Emmy (due di fila -2008 e 2009- per Damages) e 2 Golden Globe. Per l’Oscar, a questo punto, pare più probabile che arrivi quello alla carriera. Diretto dal vincitore Björn Runge (vincitore dell’Orso d’argento a Berlino con Alle prime luci dell’alba nel 2003 ), The Wife – Vivere nell’ombra è l’adattamento dell’omonimo romanzo di Meg Wolitzer. Nel cast assieme a Glenn Close anche Jonathan Pryce (Carrington, Evita, The Man Who Killed Don Quixote), Christian Slater (Heathers, Cose molto cattive, Mr. Robot) e Max Irons, che con Glenn aveva già diviso la scena in Mistero a Crooked House.
Joan Castleman (Glenn Close) è l’incarnazione della moglie perfetta: quarant’anni passati a sacrificare il suo talento letterario, i suoi sogni e le sue ambizioni per incoraggiare e sostenere la carriera del carismatico marito Joe (Jonathan Pryce), sopportando e giustificando con pazienza i suoi tradimenti e l’oblio professionale.
Un tacito patto è l’umiliante la chiave di vola del loro matrimonio, un’unione fatta di compromessi che Joan sopporta in silenzio. Alla vigilia del Premio Nobel per la letteratura, conferito a Joe per la sua rimarchevole produzione, Joan si trova a confrontarsi con il più grande sacrificio della sua vita arrivando a un irreversibile punto di rottura.
Ambientato negli anni ’90, con flashback che rimandano ai primi anni della loro relazione iniziata negli anni ’50 e ’60, The Wife ricostruisce i meccanismi di un amore complesso (come tutti gli amori, a modo loro), di un matrimonio tarlato e di una famiglia fragile e pronta a crollare da un momento all’altro: sul figlio, frustrato aspirante scrittore, ricadono tutti gli strascichi e le ombre del rapporto malato costruito sul grande inganno dietro a cui si nasconde Joan. Il cast è ottimo, ma su tutti ovviamente spicca Glenn Close, che con una performance da brividi riesce a dare infinite sfumature e vividezza al suo personaggio: una donna geniale ma remissiva, furibonda ma compita. Purtroppo non è sufficiente a far decollare tutto il film, che rimane un prodotto dignitoso, godibile ma trascurabile; gioca un po’ la carta del mistero ma non troppo (il “plot twist” è prevedibile fin dalle prime scene e sbandierato dal trailer), nell’intenzione di non trasformare l’autopsia di un matrimonio in un giallo Runge resta a cavaliere tra i diversi toni del racconto senza sceglierne mai uno. Il risultato è una narrazione senza nervo, con poco carattere.
In attesa di vedere Glenn Close nella versione su grande schermo del musical di Sunset Boulevard (musicata da Andrew Lloyd Webber e che l’ha vista protagonista nel 1993/94 -performance che le è valsa il suo terzo Tony- e nel revival del 2016/17) non ci resta che accontentarci, per lei ne vale comunque la pena.
2 Commenti
Non so se c’è un problema di scelta dei copioni, resta il fatto che il film non funziona, funziona solo lei…
Trovo ridicolo che si dica che la Close sceglie brutti film – che per me sono ben altro – quando mi pare ovvio che nell’industria cinematografica ci sia un gran problema di ageism, come se Sarandon, Close e Rowlands (ad esempio) avessero la possibilità di scelta di colleghe molto più giovani e in voga come Blanchett e Kidman; rimanendo all’interno della cerchia di attrici più anziane, difficile che siano richieste come Judi Dench, che il successo al cinema lo conobbe dopo i 60.