Le opere della street art hanno beneficiato negli ultimi anni di una sostanziale revisione (o meglio, inversione) critica. Disegni, ritratti, sculture e installazioni che fino a poco tempo fa erano considerate come imbrattamenti e atti di vandalismo sono ora infatti apprezzate opere d’arte, esposte in musei e battute all’asta con valori sempre crescenti.
Gli stessi streetartist che venivano perseguiti in base al codice penale ora beneficiano della protezione accordata dal codice civile alle opere dell’ingegno.
Tutte le opere che presentano carattere creativo – requisito peraltro poco stringente, essendo in giurisprudenza ritenuto sufficiente un grado minimo di creatività, ovvero che l’opera contenga in sé l’espressione della personalità del suo autore – sono infatti tutelate come opere dell’ingegno; financo tag e firme che presentino una configurazione grafica (si pensi a quelle realizzate con le c.d. bubblesletters) non possono quindi essere riprodotte o comunque utilizzate senza il consenso degli artisti, a prescindere dall’eventuale liceità o meno dell’opera e a prescindere da qualsiasi registrazione o fissazione. Basti pensare che in passato hanno beneficiato di tutela in Italia anche un inno fascista, una parodia a sfondo volgare, il “MeinKampf” di Adolf Hitler, e che è stata accordata tutela ai format e ai personaggi di fantasia, alle composizioni floreali e alle telecronache di un evento sportivo.
Non è più infrequente, almeno all’estero, il caso di streetartist che lamentano la riproduzione non autorizzata di proprie opere; così, ad esempio, nel caso di Jamie MitchelKose nei confronti della nota cantante Kiesza per i murales ripresi nel videoclip della canzone Hideaway o in quello della crew MSK nei confronti di Cavalli per le parti di un murale realizzato nel 2012 a San Francisco riprese nei capi della collezione Cavalli Graffiti Girls per la primavera/estate 2014.
Ed è ciò che sembra essere accaduto nel nostro paese nel caso che ha coinvolto un’opera di Alice Pasquini riprodotta senza la sua autorizzazione nel videodella canzone “Assenzio” di J-Ax e Fedez, violazione per la quale la streetartist si è lamentata sul proprio profilo Facebook, senza tuttavia procedere con alcuna azione giudiziale.
Sono invece ancora poche, in Italia, le vertenze aventi ad oggetto opere di street art davanti ai Tribunali. Una grande eco ha sicuramente avuto però il procedimento che ha visti coinvolti il writer Marco Mantovani, in arte KayOne, nei confronti di un altro writer, Nicola Leonetti, che aveva pubblicato sul proprio blog alcune fotografie delle opere del primo senza attribuzione di paternità e posto in vendita un’ottantina di proprie opere che riproducevano quasi integralmente quelle del ricorrente, ma a prezzi più bassi; in questo caso, il Tribunale di Milano, riconosciuto il valore delle opere di street art di KayOne, ha emesso un’ordinanza cautelare nei confronti di Leonetti ritenendo che le opere di quest’ultimo non potessero essere considerate elaborazioni (che avrebbe in ogni caso richiesto il consenso dell’autore delle opere originali) ma sostanziali riproduzioni delle opere di Mantovani e ha condannato il soccombete a rimuovere dal proprio blog le fotografie delle opere di KayOne e a pubblicare, a sue spese, il dispositivo dell’ordinanza su “Flash Art”.
Se e in quanto tutelate come opere dell’ingegno, lo streetartist può altresì opporsi a qualsiasi utilizzo delle proprie opere che possa essere di pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione, tra cui rientrano le eventuali modifiche che alterino le modalità di presentazione al pubblico volute e immaginate dall’autore.
Nel campo della street art ciò può capitare nel caso in cui l’opera sia stata staccata dal suo supporto originale per essere esposta in un museo o posta in vendita in una galleria d’arte.Eclatante è stato in Italia il caso di Blu, il quale ha deciso di rimuovere con vernice e scalpello tutti i suoi murales realizzati a Bologna in risposta alla possibilità che gli stessi potessero essere esposti in una mostra organizzata nelle sale di Palazzo Pepoli – Museo della Storia di Bologna, intitolata “Street Art – Banksy& Co”, organizzata da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Arthemisia Group e GenusBononiae. Musei nella città.
Si discute invece se i diritti riconosciuti all’artista si estendano sino a ricomprendere quello di opporsi alla distruzione della propria opera, perfino nei confronti del proprietario dei muri,anche se l’opinione prevalente ritiene che quest’ultimo possa distruggere l’opera pure senza il consenso dell’autore.
Purché ovviamente l’opera non sia stata riconosciuta di interesse culturale, in quanto in tal caso la distruzione (ma anche qualsiasi movimentazione) deve necessariamente essere preventivamente autorizzata. E’ il caso, ad esempio, dell’opera “Tuttomondo”, realizzato da Keith Haring sulla parete posteriore del convento della chiesa di S. Antonio a Pisa nel 1989, ora tutelata dalla Soprintendenza di Archeologia di Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Pisa e Livorno.
Paradossalmente infatti artisti che hanno originariamente realizzato disegni e graffiticlandestinamentehanno visto nel tempo le loro opere non solo protette come opere d’arte ma, financo, vincolate come beni culturali.
Il presente contributo costituisce un estratto del gruppo “TIP TAP – Thoughts in IntellectualProperty and Art Protection” del Dipartimento di diritto della proprietà intellettuale di Negri-Clementi Studio Legale Associato su Linkedin.