Fondazione Sandretto Re Rebaudengo inaugura a Torino quattro mostre personali rendendo omaggio a quattro giovani artiste di fama internazionale: Lynette Yiadom-Boakye, Rachel Rose, Andra Ursuta, Monster Chetwynd. Dai personaggi eterei dei ritratti di Lynette Yiadom-Boakye, all’atmosfera fantastica e sognante della video-installazione di Rachel Rose, alle sculture metal e grottesche di Andra Ursuta, fino ai carnevaleschi e onirici teatrini di Monster Chetwynd.
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo propone quattro visioni contemporanee, eterogenee nel linguaggio estetico utilizzato, negli approcci di indagine, nelle tematiche analizzate e nei media scelti per affrontarle.
Lynette Yadiom-Boakye
2 novembre 2018 – 20 gennaio 2019
Lynette Yadiom-Boakye (1977) è un’artista inglese di origine ganese.
Finalista del Turner Prize nel 2012, negli ultimi 10 anni è stata presentata presso prestigiose istituzioni internazionali quali New Museum, Tate Britain, Kunsthalle Basel, Serpentine Gallery, Corvi Mora, V-A-C Foundation, White Cube, Biennale di Venezia.
La mostra, a cura di Irene Calderoni, presenta una selezione di opere della Collezione Sandretto Re Rebaudengo.
Attraverso i suoi ritratti Lynette Yiadom-Boakye espone un catalogo di soggetti umani che di fatto non esistono. Le sue figure aleggiano in mondi possibili, non definiti, non abitano narrazioni ma suggeriscono aperture a storie, lasciando così il visitatore libero di immaginare. Lynette esamina luci ed ombre e le trasforma in figure senza avvalersi di alcun modello di riferimento. Tramite la pittura, crea elementi caratteriali che non appartengono a persone reali.
Le figure, misteriose e sospese, occupano l’intero campo pittorico avvolte solamente dal colore di uno sfondo ovattato, astratto e neutro. I gesti sono naturali e spontanei, le pose rilassate e informali, e lo sguardo, lontano e contemplativo, è rivolto altrove.
I toni sono scuri e i colori hanno un particolare accento sui marroni e sulle sue infinite sfumature. Attraverso un sapiente gioco cromatico la figura emerge delicatamente dallo sfondo.
Le tracce di specificità sono lievi, quasi impercettibili, è difficile poter contestualizzare le scene in base all’abbigliamento dei protagonisti: i vestiti anonimi e minimali non identificano un periodo storico preciso.
I personaggi non abitano narrazioni specifiche, i titolo infatti non sono mai descrittivi e non fungono da rimando letterario ma fanno parte di una produzione artistica a sé stante: Yiadom-Boakye, infatti, è anche autrice di racconti e poesie.
La sua pittura non prevede un programma politico mirato ma attraverso l’attento esame di questioni identitarie sottolinea l’assenza di soggetti di colore nella pittura tradizionale occidentale, spingendo così il visitatore ad una riflessione critica a riguardo.
Rachel Rose. Wil-O-Wisp
2 novembre 2018 – 3 febbraio 2019
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta in anteprima europea la video installazione della giovane artista newyorkese Rachel Rose (1986) vincitrice del Frieze Artist Award nel 2015 e dell’Illy Present Future Prize nel 2014, a cura di Erica Battle.
Prodotta nell’arco di due anni, Wil-O-Wisp, è il primo progetto di collaborazione e co-produzione del Philadelphia Museum of Art e della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che insieme hanno istituito il Future Fields Commission in Time-Based Media, premio volto a supportare la ricerca e la sperimentazione di giovani artisti nell’ambito del digitale, del video making e della performance.
Il significato del titolo, fuoco fatuo, si concretizza nel particolare fenomeno illusorio dato dall’effetto moiré, una sorta di filtro cangiante che priva l’immagine di consistenza creando inganni ottici (proprio come i fuochi fatui) utilizzato nel video e ricreato nelle pareti della sala espositiva.
Rose propone un’installazione video immersiva in cui la manipolazione digitale delle immagini è complice di un attento apparato audio, dove elementi orchestrali ed elettronici ritmano la composizione.
Le arti magiche, la persecuzione, il binomio proprietà pubblica e privata, il rapporto tra l’uomo e la natura e tra la vita e la morte nell’Inghilterra agricola del XVI secolo sono gli elementi cardine di un racconto in cui una complessa post-produzione accompagna un’accurata sceneggiatura e fedele ricostruzione storica.
L’artista intreccia temi eterogenei in un racconto in cui riferimenti storici, elementi folkloristici e spunti fantastici coesistono in un sapiente storytelling.
Andra Ursuta. Vanilla Isis
2 novembre 2018 – 30 marzo 2019
Andra Ursuta (1979) è nata in Romania ma vive e lavora a New York. Ha partecipato alla Biennale di Venezia nel 2013 e alla Biennale di Istanbul nel 2017, le sue opere sono state esposte da Massimo De Carlo a Milano nel 2015 e 2017 e al New Museum nel 2016.
L’esposizione Vanilla Isis, curata da Irene Calderoni, presenta opere esistenti ed alcune sculture realizzate in occasione della mostra.
La riflessione dell’artista parte dalla presa in esame delle strategie comunicative estremiste in rapporto alle sottoculture giovanili occidentali.
Il lavoro si concentra su forme estetiche già configurate e qui ricombinate, secondo un’appropriazione culturale di terzo grado: Ursuta riflette sulla migrazione dei fenomeni estetici occidentali e sulla strumentalizzazione di questi da parte dei gruppi estremisti nelle logiche di propaganda.
L’artista stravolge gli stereotipi della società contemporanea creando un proprio universo surreale, cupo, agghiacciante. Analizza temi controversi e delicati attraverso la lente del grottesco e della satira, mette in scena le contaminazioni tra propaganda terroristica e cultura popolare, servendosi di un immaginario dark e gotico dove il binomio comico/tragico è alla base della narrazione.
Bandiere ridotte a brandelli sono presentate insieme ad oggetti ludici e pop come materassini e gonfiabili da piscina, colti secondo un’estetica cupa e inquietante.
Sottoculture musicali ed estremismo religioso cooperano nella creazione di un effetto straniante: i testi dei Guns N’ Roses accompagnano le insegne ufficiali dell’ISIS, mentre la celebre Anarchy in the UK dei Sex Pistols, cantata in versione araba, diviene l’opera audio che riecheggia in loop nella sala espositiva.
La mostra è dominata però da un’enorme installazione al centro della stanza, Stoner (2013), un lanciapalle da baseball riconfigurato come strumento di tortura che scaglia pietre: da dispositivo sportivo a macchina per esecuzioni.
Ad essere lapidato è un muro dagli attributi umani: ciocche di capelli punteggiano mattonelle dai colori lividi, come un corpo ferito e tumefatto.
Monster Chetwynd. Il gufo con gli occhi laser
2 novembre 2018 – 30 marzo 2019
Il gufo con gli occhi laser, curata da Irene Calderoni, è la prima personale dell’artista britannica Monster Chetwynd (1973) presso un’istituzione italiana.
L’artista e performer, finalista del Turner Prize nel 2012, ha cambiato nome più volte nel corso della sua carriera: prima Spartacus, poi Marvin Gaye ed ora Monster Chetwynd.
Eccentrico e irriverente, il lavoro di Chetwynd nasce dall’unione di diversi media: pittura, scultura, performance e teatro. Quasi tutte le opere presentate in Fondazione sono riconfigurazioni di set e scenografie utilizzate dall’artista per performance e rappresentazioni precedenti.
Monster pone al centro del suo lavoro la pratica del bricolage: preleva e mescola, sovvertendo ogni gerarchia, elementi culturali eterogenei, provenienti dal mondo del cinema, della storia dell’arte, della letteratura, del teatro, delle tradizionali popolari antiche e della pop culture odierna.
Il pipistrello, animale feticcio dell’artista, compare enorme e mostruoso nel pannello Bat opera, oppure in piccole dimensioni nei dipinti posti all’intero della bocca dell’inferno, installazione spettacolare e carnevalesca.
Frammenti di testo tratti dal Castello dei destini incrociati di Calvino, dettagli di dipinti antichi fiamminghi e italiani, gli incredibili costumi di scena della celebre performance Delirious (Serpentine, 2006) sono solo alcuni degli accostamenti irriverenti proposti da Monster.
In occasione dell’opening non manca una doppia performance in cui un concerto di musica punk fa da cornice a un teatrino di marionette dove gli abitanti della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo combattono con uno spietato gufo dagli occhi laser.
*Fondazione Sandretto Re Rebaudengo