I detenuti accusati di incoraggiare le proteste anti-governative portando “attivisti, moderatori e manifestanti dall’estero” per mantenere viva la rivolta partita da Gezi contro Erdogan
“Creano caos”, e “cercano di rovesciare il governo”. C’è tutto l’armamentario dialettico della più classica inquisizione censoria di regime nelle motivazioni che nei giorni scorsi hanno portato all’arresto da parte della polizia turca di tredici intellettuali ed operatori culturali, accusati del loro sostegno alle proteste del Gezi Park del 2013, a Istanbul. L’Istanbul Security Directorate accusa i detenuti di incoraggiare le proteste anti-governative portando “attivisti, moderatori e manifestanti dall’estero” per mantenere viva la rivolta di Gezi Park, iniziata con dimostrazioni su piccola scala da parte di attivisti ambientalisti e trasformata in rivolta nazionale in seguito a violenti scontri con i manifestanti e polizia.
Tra i fermati, 12 dei quali sono già stati scarcerati, anche se con il divieto di espatrio, ci sono anche esponenti di Anadolu Kültür, un’organizzazione non profit che promuove i diritti artistici e la diversità culturale. Coinvolti poi docenti universitari tra cui Betül Tanbay, professore di matematica presso l’università Boğaziçi, e Turgut Tarhanlı, decano della facoltà di giurisprudenza dell’ateneo Bilgi; Çiğdem Mater, produttore cinematografico e coordinatore della piattaforma cinematografica Armenia-Turchia a Istanbul; Asena Günal, responsabile dei programmi dello spazio d’arte Depo di Istanbul. Oltre 142mila persone, fra cui accademici, attivisti, leader della società civile, difensori dei diritti umani e giornalisti, sono stati arrestati dopo il colpo di stato, come riferito da The Guardian.