Tre giornate di vendita da Wannenes a Genova che spaziano dai gioielli, alle monete fino ai dipinti antichi
La prima asta in calendario è dedicata ai Gioielli e Orologi ed è fissata per oggi, 27 novembre. Verranno presentati tre oggetti che per creatività sono esemplari del fascino intatto de l’haute horlogerie et joaillerie, che da sempre ricerca nell’esclusività l’elemento di forza di un brand.
Il primo un paio di essenziali orecchini pendenti in diamanti del XX secolo che come peculiarità che possono essere indossati come anello con l’apposita montatura (lotto 294, stima 50.000 – 70.000 euro). Il secondo è un anello in oro con uno zaffiro rosa del peso di 8,29 carati e affiancato da diamanti taglio baguette e brillante, firmato Bulgari (lotto 311, stima 22.000 – 32.000 euro), il terzo un raro orologio da polso Patek Philippe, ref. Geneve, ref. 1579, fine anni ’40 cronografo cassa tonda in oro, anse a ragno 36mm (lotto 102, stima 16.000 – 20.000 euro).
Il catalogo dell’asta di Monete & Medaglie del 28 novembre, oltre a interessanti esemplari antichi e moderni, presenta un pezzo dal fascino particolare: l’oncia d’argento da 30 tarì di Carlo III. Carlo VI, Sacro Romano Imperatore dal 1711 al 1740 (e sarà il padre della celebrata Maria Teresa), regna in Sicilia dal 1720 al 1734 col nome di Carlo III, dando un forte impulso al rinnovamento della monetazione siciliana e tentando di allineare i valori di monete estere e locali. Nel 1732 viene così avviata una nuova monetazione che comprende anche once d’oro e d’argento, raffiguranti una fenice sulle fiamme rivolta verso il sole.
“Alludendosi colla Fenice che l’Oncia, rimasta per tanto tempo moneta ideale, risorgeva dalle sue stesse ceneri, come è stato scritto di questo favoloso uccello”: così si spiega il motivo di questa scelta iconografica da Gabriele Lancillotto Castelli, principe di Torremuzza e marchese di Motta d’Affermo, studioso di numismatica, antiquario e direttore della Zecca di Palermo.
La Fenice, essere mitologico capace di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte (per questo associata alla resurrezione di Cristo) nel caso delle monete coniate in Sicilia fu certo scelta come emblema della rinata e potente aquila imperiale, ma anche per sottolineare l’importanza del progetto politico legato alle nuove emissioni di monete, che costituivano il corrispettivo dell’antica oncia di conto, pari a 30 tarì d’oro. Si spiega così anche la legenda impressa sulle monete d’argento che recita: “dall’oro risorge argentea”.
Nella vendita del 28 novembre saranno presenti anche le once siciliane di Ferdinando III: l’esemplare del 1791 si distingue per un ritratto del sovrano con busto corazzato e dai lunghi capelli (lotto 1229, stima 4.000 – 6.000 euro), mentre l’oncia del 1793 ha una rappresentazione particolarmente felice della Fenice sulle fiamme, con la rara variante del sole con volto umano rivolto a destra anziché frontale (lotto 1230, stima 2.000 – 4.000 euro).
Tra i lotti offerti in catalogo ricordiamo infine una importante serie di monete sabaude dal Regno di Sardegna al Regno d’Italia, tra cui spicca un raro 100 lire di Umberto I del 1880, coniato solo in 145 esemplari (lotto 1341, stima 20.000 – 30.000 euro).
Quadri di grande impatto nel catalogo dei Dipinti Antichi e del XIX secolo del 29 novembre a partire dal lussuoso dipinto da grande galleria aristocratica di Paolo de Matteis raffigurante La Fusione di Salmace ed Ermafrodito eseguito verso il 1690-1700 (lotto 743, stima 40.000 – 60.000 euro). Il racconto di Ovidio è visualizzato mediante l’inversione dei ruoli di un’altra storia d’amore drammatica: Apollo e Dafne. A de Matteis il gruppo marmoreo di Bernini alla Galleria Borghese ispira l’idea di una figura che insegue ed una che tenta di sfuggirle. Solo che qui chi fugge è un ragazzo, mentre una giovane donna lo trattiene con la leggerezza di una forza sovrumana. La cultura arcadica di de Matteis conferisce al dipinto una dimensione aulica; i panneggi sontuosi delle due figure si frammentano in plastiche pieghe; le anatomie possenti, tese in uno sforzo che più che alla colluttazione fa pensare ad un abbraccio, ostentano una perfetta conoscenza di tanti dettagli della Galleria Farnese di Annibale Carracci.
L’acqua della fonte, medium dell’incantesimo, è un brano di estremo virtuosismo pittorico. Nel continuo andirivieni tra Roma e Napoli de Matteis consegue un eletto classicismo, conscio della linea accademica di Carlo Maratti ma estremamente individualizzato. Il paesaggio vespertino proietta sulle figure una luce morbida; i due ineffabili eroi rappresentano le pulsioni che segnano la storia di Salmace ed Ermafrodito, ed esprimono l’indifferenza degli Dei per i drammi causati agli uomini dai loro giochi con il capriccio del fato.
Nello Studio di nudo databile agli anni ’40 di Mattia Preti (Taverna 1613 – Malta 1699) (lotto 768, stima 12.000 – 15.000 euro), caravaggesco in ritardo, come lo apostrofava Roberto Longhi, per quel suo spirito che lo avvicina agli ultimi tanto caro al maestro lombardo, ma la sua formazione, partito dalla natia Calabria, è costellata di innumerevoli tappe – ancora tutte da confermare a parte Venezia – che lo portano secondo il suo biografo Dominici a Bologna, a Cento presso il Guercino, a Venezia, a Milano, a Genova, a Parigi, ad Anversa per conoscere Rubens e, infine, in Spagna al seguito di un misterioso monsignore, da alcuni identificato in Giulio Rospigliosi, futuro papa Clemente X.
Quando arriva a Roma fu attratto dalla Manfrediana methodus. In particolare, sulla scia di Valentin de Boulogne, Nicolas Tournier e Nicolas Reigner tradusse il caravaggismo con influenze che per sensualità plastica erano decisamente emiliane ma nella sensibilità luministica risultavano decisamente nordiche per quella chiarezza ottica tipica di quella tradizione pittorica. Nello, sono evidenti le influenze emiliane di Giovanni Lanfranco e napoletane di Battistello Caracciolo, ma con una schiettezza interpretativa assolutamente originale.
Nei Giocatori di bari, attribuibile a Michiel Sweerts (Bruxelles 1618 – Goa 1664), l’artista sviluppa il tema tipico dei Bamboccianti fiamminghi a Roma con stile severo e raccolto, molto vicino a quella ‘forma della realtà’ che aveva animato l’opera del Caravaggio (lotto 771, stima 15.000 – 25.000 euro).
“La Conchiglia”, di Alfredo Luxoro artista genovese attivo dalla seconda metà dell’Ottocento agli inizi del XX secolo – sviluppa con appassionato lirismo e una naturale luminosità in una grande tela che partecipa all’Esposizione Nazionale delle Belle Arti di Roma del 1883 (lotto 1000, stima 15.000 – 18.000 euro), è un tema di profonda spiritualità e nel contempo di sensuale percezione che nella cultura classica latina e greca simboleggia la prosperità, la nascita (come vediamo nella Sacra Conversazione di Piero della Francesca esposta al Museo di Brera a Milano), la fertilità, il grembo materno e l’origine di Venere, creata dalla schiuma e portata a riva sulla cima di una conchiglia (come il sublime Botticelli la ritrasse vestita solo della sua immortale bellezza). La conchiglia rappresenta la vita, la resurrezione, la purificazione spirituale legata al battesimo (rinascita nella grazia), e al pellegrinaggio (viaggio di purificazione).
Un’opera giovanile importante che sottolinea che il suo stile, all’inizio vicino alla verità luministica della pittura di macchia in breve si avvicina alla tradizione pittorica romana, allora molto in voga, caratterizzata da un plasticismo di classica compostezza.
Gioielli e Orologi
Genova, 27 novembre 2018
MONETE E MEDAGLIE
Genova, 28 novembre 2018
Dipinti Antichi e del XIX secolo
Genova, 29 novembre 2018