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Il teatro tragicomico di Pieter Bruegel a Vienna. Una grande mostra al Kunsthistorisches

Pieter Bruegel il Vecchio - La Torre di Babele, 1563 © Kunsthistorisches Museum, Vienna Pieter Bruegel il Vecchio - La Torre di Babele, 1563 © Kunsthistorisches Museum, Vienna
Pieter Bruegel il Vecchio - La Torre di Babele, 1563 © Kunsthistorisches Museum, Vienna
Pieter Bruegel il Vecchio – La Torre di Babele, 1563 © Kunsthistorisches Museum, Vienna

A 450 anni dalla scomparsa, il Kunsthistorisches Museum di Vienna celebra il genio di Bruegel il Vecchio con una grande retrospettiva di oltre 90 opere con importanti prestiti da tutto il mondo, che riunisce per la prima volta i dipinti, le stampe e i disegni del maestro fiammingo. Fino al 13 gennaio 2019.

Artista fra i più talentuosi, ma anche fra i più misteriosi, del suo tempo, Pieter Bruegel il Vecchio (1525/30-1569) ha rappresentato in maniera incisiva la modernità dell’arte del Cinquecento, che in Europa non corrispose soltanto al Rinascimento italiano. Se questo ebbe portata fondamentale per lo sviluppo della cultura europea, il suo approccio, anche artistico, fu tuttavia di stampo prevalentemente intellettuale, e il suo lato umanistico lasciò pochissimo spazio all’osservazione del popolo. Ma nelle Fiandre non toccate dalla Riforma luterana, la cultura classica e in particolare la filosofia, erano assai meno conosciute e diffuse, pertanto la concezione della condizione dell’individuo è ancora legata alla sua subordinazione alla natura, al ciclo delle stagioni, alla fatica dei campi, e all’ineluttabilità del destino. Anche per questa ragione, fu qui che nacque la pittura di genere, svincolata dalle tematiche filosofiche e legata, invece, alla realtà quotidiana.

Con moderna sensibilità, Bruegel fu uno dei più acuti frequentatori di questa pittura che proprio allora muoveva i primi passi in Europa, e il suo sguardo verso il “popolo minuto” è intriso di bonaria ironia, partecipazione ai rituali campestri, alle feste, alla fatica del lavoro. Ma a queste riflessioni Bruegel sarebbe giunto più tardi, dopo il presunto apprendistato presso la bottega di Pieter Coeck van Aelst fra il 1445 e il 1450, ad Anversa, dove probabilmente era anche nato.

Pieter Brueghel il Vecchio - Danza di contadini, 1568 © Kunsthistorisches Museum, Vienna
Pieter Brueghel il Vecchio – Danza di contadini, 1568 © Kunsthistorisches Museum, Vienna

La mostra ripercorre l’intera carriera artistica di Bruegel, dai disegni a inchiostro degli esordi, fino alle tele monumentali della maturità, fra tematiche religiose, mitologiche, e di genere, queste ultime quelle che più delle altre qualificano la modernità della sua pittura. La maestria di Bruegel la si nota comunque sin dai disegni giovanili, realizzati con l’inchiostro e che datano al 1552. Il tratto è asciutto, finissimo, attento a soffermarsi sui particolari della scena.

Fra il 1552 e il 1554 compì un viaggio in Italia, visitando Venezia, Roma, Napoli, la Calabria e la Sicilia. Eppure, nonostante avesse avuta la possibilità di osservare l’arte rinascimentale, non ne fu particolarmente impressionato, e nel suo stile non si ritrovano influenze dei maestri italiani. Bruegel portò avanti un suo personalissimo percorso artistico, attraverso cui riuscì letteralmente a rivoluzionare la pittura di genere e di paesaggio. I suoi primi quadri a noi pervenuti risalgono alla seconda metà degli anni Cinquanta del secolo, preceduti da numerose incisioni che aveva realizzate per l’editore Hyeronimus Cock di Anversa, città nella quale visse fino al 1563.

Pieter Bruegel il Vecchio - La conversione di Saul, 1567 © Kunsthistorisches Museum, Vienna
Pieter Bruegel il Vecchio – La conversione di Saul, 1567 © Kunsthistorisches Museum, Vienna

All’epoca, nelle Fiandre ancora sottomesse al dominio spagnolo, l’arte religiosa era molto in voga, e anche Bruegel eseguì numerose opere sul tema, ma l’intento agiografico, il senso dell’assoluto e della verità rivelata, furono lasciati da parte in favore di una collocazione storica e sociale contemporanea, nel senso che l’osservazione della realtà è sempre prevalente in Bruegel: scene bibliche e dei Vangeli vengono sistematicamente calate nelle Fiandre del Cinquecento, riconoscibili dal paesaggio, le architettura, l’abbigliamento dei personaggi. Così, ad esempio, l’Adorazione dei Magi nella neve, ha nella scena evangelica solo un pretesto per dare voce alla solennità della natura fiamminga in inverno, in una scintillante giornata di neve, che cade leggera sui mantelli e i cappelli degli abitanti del villaggio, molti dei quali intenti nelle quotidiane occupazioni: prendere l’acqua dai pozzi, liberare i canali dai tronchi trasportati dalla piena. Una scena serena, immortalata per tramite di una pennellata magra, asciutta, che si fa cronaca dal notevole realismo.

Su questa china, arriveranno le grandi tele della maturità, dedicate a vivaci scene di vita quotidiana: la piazza dove si commercia, si lavora, si discute, ci si incontra, si gioca; la raccolta dei frutti autunnali, la caccia, così come i riti della vita paesana e civile. Da quest’ultimo punto di vista ne sono un valido esempio Danza contadina e Matrimonio contadino. Bruegel ritrae questi rozzi villani come avrebbe potuto farlo un novelliere italiano del secolo precedente, ovvero in maniera schietta, arguta, bonaria, sottolineandone, a volte, certi tratti grotteschi dei volti pesanti, ma riuscendo sempre a darcene l’impressione di onesti e laboriosi contadini, partecipi di un mondo forse ristretto ma comunque sereno, dove non c’è posto per la storia con la esse maiuscola, bensì vi è per il raccolto, la semina, il taglio della legna, per le feste e i piccoli e grandi rituali che scandiscono l’annata, il cui variare delle stagioni è scandito dai colori che si susseguono sempre eguali eppure sempre meravigliosi, dai raccolti e dalla lunghezza delle giornate. Bruegel è splendido cantore di questo mondo reale, attraverso grandiosi affreschi che sorprendono per la loro modernità e commuovono per lo sguardo sereno con cui il pittore avvicina gli umili e dà loro dignità artistica.

La pittura di Bruegel ha un tragicomico respiro teatrale, che si sublima nelle espressioni dei volti dei personaggi, molto spesso al limite del grottesco o della caricatura, a lasciare intendere come gioia e dolore si susseguano allo stesso modo delle stagioni e dei raccolti. Non c’è drammaticità nelle sue tele, nemmeno nel Trionfo della Morte (1563, in prestito eccezionale dal Prado di Madrid). Pur ispirato agli affreschi medievali dei tempi della Peste Nera, il quadro non ne possiede la disperazione, perché la “grande consolatrice” non è vista tanto come fine della vita, quanto come un’allegoria della guerra e delle miserie umane.

Pieter Bruegel il Vecchio - Il Trionfo della Morte, 1562 © Museo Nacional del Prado
Pieter Bruegel il Vecchio – Il Trionfo della Morte, 1562 © Museo Nacional del Prado

Particolare statura intellettuale rivestono le opere Dulle Griet e le due versioni della Torre di Babele, tutte del 1563. Per una loro più agevole lettura (relativamente parlando), è necessario considerare il grande interesse che gli studi alchemici riscuotevano nell’Europa dell’epoca, nell’illusione di trovare un collegamento fra la Terra e il Cielo, in un non sempre rigoroso accostamento di scienza e credenze astrologiche, precetti civili e religiosi. Studi che venivano condotti con particolare segretezza, all’interno di circoli di iniziati, e sui quali in gran parte ancora oggi resta il mistero. Per questa ragione, non è facile interpretare il significato di tutte le figure che popolano l’impressionante Dulle Griet, ispirato a un personaggio del folklore fiammingo, una strega folle che sembra dare sfogo a tutte le miserie e le grandi e piccole malvagità umane. In quest’opera Bruegel “paga pegno” a Hieronymus Bosch, l’immaginifico proto surrealista fiammingo, e alla sua stregua popola la scena di creature fantastiche, fra comico e mostruoso, che hanno un significato allegorico ma probabilmente anche legato all’alchimia. Al di là di ciò, resta del quadro l’inventiva con cui Bruegel costruisce una scena in equilibrio tra fantasia e realtà, creando effetti emotivi affatto usuali nella pittura dell’epoca. Fu questo, a quanto sappiamo, l’unica frequentazione del “surreale”, eseguita su commissione.

Pieter Bruegel il Vecchio - Dulle Griet, 1563, © Museum Mayer van den Bergh, Antwerp
Pieter Bruegel il Vecchio – Dulle Griet, 1563, © Museum Mayer van den Bergh, Antwerp

Comunque legate al mondo esoterico/scientifico le due versioni della biblica Torre di Babele (dipinta ispirandosi alle architetture del Colosseo), che nel Cinquecento è riletta secondo la sua funzione di luogo deputato all’astronomia e allo studio del cielo, assai praticato dagli scienziati dell’epoca, ma anche di luogo con funzione di “collettore di energia” celeste; al quale fa da contrasto il paesaggio urbano che si nota sullo sfondo, brulicante di attività non meno che la stessa torre in costruzione. È evidente, qui, anche il richiamo biblico contro la superbia dell’individuo, che rischia di dimenticare la terra per volersi troppo avvicinare al cielo, ma le due opere sono importanti sia per l’impressionante costruzione prospettica, sia, ancora, per lo spazio lasciato alla realtà delle Fiandre dell’epoca. Come detto, la scuola fiamminga fu la prima in Europa a diventare lo specchio della quotidianità, affrancandosi dalla verità rivelata e dalla mitologia. comincia anche da qui (in parallelo con il Rinascimento che ne è il lato intellettuale), quello spostamento di prospettiva che porta l’umanità a guardarsi, a interrogarsi su se stessa, ad acquisire lentamente coscienza delle proprie aspirazioni e problematiche, e a sentirsi protagonista del proprio destino. Sarà un processo che, per mezzo di lotte e sacrifici, porterà alla modernità civile della Rivoluzione Francese, e accanto alla filosofia, all’economia, al pensiero politico, anche l’arte vi ha giocato un ruolo importante, con Bruegel fra i protagonisti.

 

www.bruegel2018.at

 

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