In 180 opere, la Fundación MAPFRE riscopre il fotografo argentino Humberto Rivas che ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita della scena fotografica spagnola del secondo Novecento. Fino al 5 gennaio 2019.
Madrid. Dopo un lungo e ingiustificato oblio, torna all’attenzione del pubblico l’opera fotografica di Humberto Rivas (1937-2009), esule in Spagna dal 1976. La Fundación MAPFRE, nell’ambito del suo percorso di ricerca e valorizzazione di artisti non troppo noti al pubblico, ospita una grande retrospettiva sul fotografo argentino, che è stato una figura di grande rilievo per la scena fotografica spagnola, perché a lui va il merito di aver introdotto nel Paese il concetto di fotografia come forma d’arte, educando la sensibilità degli addetti ai lavori e del grande pubblico. Sino agli anni Settanta, infatti, la fotografia spagnola non aveva particolarmente brillato, stante anche il non facile clima politico della dittatura franchista, che non incoraggiava lo sviluppo della cultura.
Soltanto fra gli anni Venti e Trenta si era avuto un accenno di connubio tra arte e fotografia grazie a Salvador Dalì che aveva collaborato con Man Ray e Brassaï per una serie di fotografie del mondo naturale. Si trattò però di un episodio isolato, circoscritto all’interno del Surrealismo, e semmai avesse potuto avere un seguito, la guerra civile spagnola che scoppiò di lì a poco cancellò qualsiasi possibilità al riguardo.
Ironia della sorte, fu proprio la Spagna a costituire un “campo di addestramento” per molti fotografi di guerra del Novecento, uno su tutti Robert Capa. Poi, con la relativa normalizzazione del Paese, attorno ai primi anni Cinquanta sorsero numerose riviste fotografiche, dedicate però alla fotografia documentaria, assai statica e accademica. Soltanto la Agrupación fotográfica almeriense, nata ad Almeria nel 1956, cercava di diffondere in Spagna le nuove tendenze fotografiche, ma molti dei suoi membri subirono ripetutamente la censura franchista, e il collettivo si sciolse nel 1963. Soltanto nel 1971 qualcosa si mosse, con la timida apparizione della rivista Nueva Lente, che aprì il dibattito sullo sviluppo di nuovi punti di vista fotografici, e pubblicava anche i lavori di diversi autori stranieri.
Tuttavia, la scuola spagnola, da decenni impedita nel suo naturale sviluppo, riusciva a guardare solo al passato, progredendo in un senso neo-surrealista. Ma appunto nel 1976, la situazione cambiò con l’arrivo di Humberto Rivas, esule dall’Argentina dopo che il generale Jorge Rafael Videla Redondo era salito al potere con un colpo di Stato militare. Rivas scelse di stabilirsi in Spagna perché attratto dal clima di entusiasmo e curiosità che si respirava attorno alla fotografia, al punto che la sua agenzia fotografica di Barcellona divenne il punto d’incontro per i membri di Nueva Lente. Prendendo le distanze dal Surrealismo, Rivas dimostrò come si potesse fare fotografia artistica senza prescindere dalla realtà; fu una rivoluzione, la sua, che cambiò la sensibilità con cui in Spagna si puntava l’obiettivo.
Le 180 fotografie selezionate dal curatore Pep Benlloch ripercorrono l’intera carriera di Rivas, concentrandosi principalmente sul periodo spagnolo, dal 1976 agli anni Duemila. Il suo immaginario è all’apparenza semplice: ritratti di persone e vedute urbane. Ma le sue vedute urbane sono sempre e soltanto dedicate alle strade e agli edifici, la figura umana non vi compare mai. Così come, per contrasto, le persone da lui ritratte si stagliano contro un fondale scuro, che le astrae dal tempo e dallo spazio. Due mondi, quello della città e quello degli individui, che Rivas tiene separati, ma che si intuisce si siano incontrati, e siano destinati a farlo ancora in futuro.
Le sue immagini, infatti, sono sospese fra la reminiscenza del passato e l’attesa di qualcosa, e vi si legge, tra le righe, il tragico fatalismo latinoamericano (ma di matrice spagnola), quel senso di struggente contemplazione che è nell’animo di questi popoli e che ha influenzato non soltanto certa fotografia, ma anche, e forse in misura maggiore, la letteratura, da Miguel de Cervantes a García Márquez.
Nel ritrarre l’individuo, Rivas focalizza l’attenzione sulla sua interiorità, un po’ come Boldini faceva con le dame dell’alta società, o Lucian Freud con tutti i suoi soggetti. Tuttavia, qui non ci sono concessioni allo stile, bensì un qualcosa di molto vicino alla verità nuda e cruda, che l’uso del bianco e nero rende ancora più tagliente. La femminilità perde in parte la sua poesia ideale, per ammantarsi di quella luce in chiaroscuro che soltanto la vita vissuta riesce a sviluppare, le curve morbide e sensuali acquistano una verità concettuale che va ben oltre la semplice questione estetica. Allo stesso modo gli uomini, con quell’espressione estenuata che Rivas riesce a catturare, sembrano altrettanti guerrieri colti in un istante di riposo. La vita umana, per il fotografo argentino, diventa quasi una natura morta, ne celebra la solennità al modo in cui i fiamminghi facevano con fiori e frutti, e in parte emerge il violento naturalismo caravaggesco.
Parimente struggenti le vedute urbane, sempre deserte, sempre decadenti, per il gusto di Rivas di scegliere edifici o abbandonati, o comunque in momentaneo non utilizzo. Cogliendoli in questi “momenti di pausa”, ne mette a nudo l’anima architettonica, parlano soltanto le mura, avvolte da un ineffabile e quasi inquietante silenzio. C’è sempre un’attenzione particolare alla geometria, con una predilezione per gli angoli; segnano infatti i punti di rottura fra due linee rette, suggeriscono l’apertura per nuove possibilità e direzioni. In linea metaforica, si potrebbe dire che hanno la medesima valenza che, nei ritratti, ha lo sguardo.
La sua produzione può essere paragonata a un lungo racconto di cui ogni scatto è un capitolo, ognuno dei quali accomunato da una costante linea narrativa. L’unica rottura fu l’introduzione del colore, che utilizzava in alternanza con il bianco e nero. Ma nel complesso, Rivas non è mai ridondante, non cerca l’effetto e realizza opere che puntano essenzialmente all’emozione.
Pur diametralmente opposti nello stile rispetto a Rivas, i maestri della fotografia contemporanea spagnola quali David Terrazas, Mariano Vargas o Chema Madoz, sono stati comunque educati nel solco tracciato dall’argentino, che letteralmente portò un soffio di novità in un ambiente che era sì animato da grande entusiasmo, ma ancora poco capace di misurarsi con le tendenze contemporanee. Rivas cambiò il modo con cui i fotografi spagnoli si avvicinavano all’obiettivo, aprendo loro insospettati orizzonti. Una mostra poetica e raffinata, che dimostra l’impegno della Fundación MAPFRE nel diffondere la conoscenza dell’arte al di fuori dei sentieri e degli autori più classici.
Informazioni utili
Humberto Rivas. Creatore di immagini
Fundación MAPFRE, paseo de Recoletos, 23, 28004 Madrid
Fino al 5 gennaio 2019
*Humberto Rivas – María, 1978 Archivo Humberto Rivas, Barcelona