L’artista parte da supporti lignei e con un lungo processo di stratificazioni materiche propone opere che sembrano tradire modi minimalisti, ma svelano segreti che le avvicinano a preziosi manufatti antichi
“È proteso a focalizzare quel ‘vuoto’ che è principio generativo, la cui aspirazione è di farvi scaturire, attraverso l’assiduità e l’ossessività del gesto ripetitivo della pittura su tavola, un valore immateriale di luce”. Così Bruno Corà parla nel suo testo in catalogo dell’opera dell’artista svedese Mats Bergquist, visibile fino a giovedì 20 dicembre a Milano nella mostra dal titolo Rest, allestita alla Galleria San Fedele con la collaborazione della galleria Marignana Arte di Venezia. Opere lignee da parete, o sculture da pavimento, che a primo impatto sembrano tradire modi minimalisti, ma poi rivelano raffinati segreti che le avvicinano a preziosi manufatti antichi. “Una progressiva stesura di materiali, come nelle icone”…
Bergquist “mantiene costante nel suo interesse l’orizzonte estetico della sua collimazione nell’idea spaziale, che è totalmente interiore, mentale e niente affatto fisica o paesaggistica”, aggiunge Corà. L’artista parte da supporti lignei e con un lungo processo di sottilissime stratificazioni materiche – colle, gesso, pigmenti e tecnica ad encausto – ottiene volumi che spesso si presentano con superfici concave o convesse, altre volte giocano sulla contrapposizione di tonalità decise, ma mai stridenti. In una continua dialettica fra tecniche arcaiche e forme modernissime: eccone alcune nella galleria fotografica…