Caravaggio hic et nunc. I clichè cadono, il fascino romanzesco cede il passo alla storia, la leggenda nera vive di nuova luce. L’Odissea mediterranea di Michelangelo Merisi è ripercorsa dalla lente di ingrandimento di Stefano Zuffi, storico dell’arte e docente universitario, nel nuovo volume edito da Skira “Nel segno di Caravaggio”.
Parola chiave è “dettaglio”: questo decostruisce e costruisce nuovamente l’immagine che nei secoli, fin dai primi commentatori seicenteschi, si è formata di Caravaggio. La breve vita del pittore, segnata da eccessi e violenze, viene infatti filtrata dall’analisi delle figure e degli oggetti presenti nelle opere, abbandonando il classico criterio cronologico per uno sviluppo dedicato al particolare. Nove macrosequenze –nature morte, lame e acciaio, i sensi, teste mozzate, autoritratti nascosti, modelli in posa, gesti e espressioni, il corpo, animali– scandiscono i tempi della narrazione visiva di Stefano Zuffi, rappresentando un vero e proprio vademecum per la comprensione degli episodi raffigurati. Infatti, un’analisi storico-artistica che si limiti a rilevare gli elementi tecnici, stilistici e compositivi delle opere rende nota una brillante capacità di recepire e combinare gli stimoli e le peculiarità dei maestri a lui precedenti: così, per la stesura dello sfumato è facile ritrovare Giorgione, per la resa dei moti dell’anima Leonardo, o Tiziano per il gioco di contrasti tra rosso, bianco e nero. Tuttavia, queste spie se rilette complessivamente nella rielaborazione operata da Caravaggio nel tempo specifico in cui visse, esplodono in una resa che prepotentemente segna un punto di non ritorno nella storia dell’arte. Il Merisi coglie in pieno il limite più grande della pittura, la monosensorialità della figurazione che coinvolge esclusivamente la vista.
Egli è pienamente consapevole del proprio ruolo di innovatore e il fascino romanzesco che ha fatto di lui il tenebroso assassino deve essere ridimensionato alla luce di quell’egregius in urbe pictor che compare nel contratto per i quadri laterali della cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Conteso tra cardinali, collezionisti, committenti e acquirenti internazionali, Caravaggio seppe più di chiunque altro, nella Roma a cavallo tra Cinquecento e Seicento, evocare il coinvolgimento totale dei cinque sensi innestando un’appassionato dialogo con il pubblico, allora come oggi. Angoscia, tenerezza, sacrificio, peccato, amore, morte pulsano prepotentemente nelle tele, dai soggetti profani a quelli sacri. Persino una semplice natura morta -come la Canestra di frutta del 1596, conservata all’Ambrosiana di Milano- è capace di destabilizzare il suo spettatore: uno sfondo piatto intonacato accoglie una cesta di frutta strabordante, ma oltre all’eccezionale resa verista del soggetto -chiara l’influenza della pittura lombarda del Cinquecento- la maestria di Caravaggio si nasconde proprio nel limite inferiore della tela, la cesta di vimini intrecciati supera il margine del piano su cui poggia, dando la sensazione di cadere da un momento all’altro. L’azione è hic et nunc, è questo il segreto della grandezza del Merisi.
Come con la canestra, lo stesso si ripropone per San Matteo e l’angelo -1602, Roma, Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi- in cui lo sgabello dove poggia il Santo fuoriesce dal piano compositivo, o per il Bacchino borghese –Bacchino malato, 1593, Roma Galleria Borghese- dove le foglie di vite penzolano precarie dalla tavola su cui poggiano. In questo modo, Stefano Zuffi, propone da un diverso punto di vista la portata storica della pittura caravaggesca e si pone non più dentro la tela, ma fuori: le meraviglie della sua pittura non stanno dentro la tela ma in quello che c’è fuori, in quello che esce e che ci colpisce rendendoci coprotagonisti della scena. Definito impressionista ante litteram e il primo scenografo della storia dai critici moderni, Caravaggio per le sue rappresentazioni realizzava dei veri e propri set cinematografici, in cui le comparse da lui scelte per dipingere “dal vivo” posano per infinite ore. Di qui, l’altro clichè costretto a cadere è la leggenda che lo vuole disegnare nella penombra dei bassi fondi romani o in buie osterie: egli fu infatti un maniaco della precisione, rapidissimo nella resa ma estremamente meticoloso nella mise en scene dei soggetti da raffigurare, i cui modelli, oltretutto, sono riconoscibili in più raffigurazioni, come la donna che posò per Giuditta e Oloferne -1597/98, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini- e per la Santa Caterina –Santa Caterina d’Alessandria, 1599, Madrid, Collezione Thyssen Bornemisza, Palacio de Villahermosa-.
Non c’è nulla lasciato al caso, nulla d’improvvisato, Caravaggio crea una pittura “stratificata” da più piani interpretativi, la cui realtà rappresentata si rivela lentamente solo in seguito ad una lettura insieme dettagliata e complessiva della tela. Che sia il piano in pendenza della canestra o lo sgabello di San Matteo, la smorfia stridente del Ragazzo morso da un ramarro -1595, Firenze, Fondazione Roberto Longhi-, la finestra “muta” della Vocazione di San Matteo -1599/1600, Roma, Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi- da cui non filtra luce o il viso morente della Vergine in Morte della Vergine -1605, Parigi, Musée du Luovre- che ha le sembianze di una nota prostituta, Caravaggio insegna che nulla è come sembra e al pari di un grande classico, man mano che viene “sfogliato”, rivela verità nuove. Hic et nunc.
Informazioni utili:
2017, 24 x 32,5 cm, 288 pagine
165 colori, cartonato
ISBN 978-88-572-3727-5
€ 45,00
Nel segno di Caravaggio. Dentro e fuori la tela, le opere svelate da Stefano Zuffi
[Prima immagine: Caravaggio, Ragazzo morso da un ramarro, 1595. Firenze, Fondazione Roberto Longhi (dettaglio)]