È difficile mangiare una pizza napoletana “come si deve” a Milano? No di certo, anche se bisogna sfidare qualche luogo comune della serie “la vera pizza si fa solo a Napoli”. Da Pizzami, in via Lazzaro Papi (zona corso Lodi) gli elementi e gli ingredienti veraci in realtà ci sarebbero tutti, per la sfida alle altre 9.250 pizzerie della metropoli meneghina (fonte: Napoli Pizza Village, 2016).
Partiamo dall’impasto, naturalmente, molto idratato e con poco lievito, composto per il 70% da farina di grano tenero e per il 30% da farina integrale macinata a pietra dal Mulino Caputo di Napoli. L’elevata idratazione (fino al 65-70%) e il poco lievito rendono “difficile” e lunga (almeno 36 ore, se non più, di lievitazione) la preparazione dell’impasto, ma – grazie alla maestria e alla passione del pizzaiolo della casa – il risultato finale è un prodotto inconfondibile nel gusto e molto digeribile.
Il companatico o compizzatico, del resto, deve reggere il confronto con la dedizione riservata all’impasto, ed ecoo perché da Pizzami le materie prime più importanti esibiscono la provenienza : le bufale, le fiordilatte e le provole dal Caseificio Loffredo di Caserta, le stracciatelle e le burrate dal Caseificio Andriese. Anche il pomodoro è campano verace, il San Marzano Dop dell’Agro Sarnese. I vini vengono invece tutti dalle Cantine Paolo Leo di San Donaci (Brindisi), con una selezione di bianchi (Chardonnay, Malvasia e Fiano) e rossi (Primitivo, Negroamaro e Negroamaro riserva) salentini.
Quanto al fattore umano, che è poi quello da mettere al primo posto, abbiamo avuto modo di conoscere il capuano Ciro Giordano, in origine chef e ora pizzaiolo di professione, che ci ha proposto alcune delle sue fantasie al forno, legate tra loro da un filo conduttore strettamente territoriale: dopo la classica Margherita con San Marzano e fiordilatte ecco quindi arrivare un assaggio di pizza Aosta, con fontina, castagne, lardo e miele, poi un altro triangolino di pizza senza nome (ma Ciro assicura che la città sarà presto abbinata) con provola affumicata di Agérola, melanzane a funghetto e pecorino. Avremmo voluto sperimentare anche la pizza Cagliari, arricchita da crema di carciofi e bottarga di muggine, la Torino con funghi porcini, nocciole e olio al tartufo, la Milano per lo zola dolce DOP, le noci, il Grana Padano … evidentemente servirà un’altra visita.
Anche perché il babà, la caprese, la pastiera, il tiramisù di Pizzami, sempre made in Ciro Giordano, meritavano il loro spazio: qui conviene parlare solo della sfogliatella, perché si dà per scontato che se un professionista è in grado di trattare a perfezione un impasto lungo e complicato come quello della mitica specialità napoletana, gli riusciranno bene tutte le altre imprese meno difficili. In questo caso, il risultato è confortante: le sfoglie di pasta sono croccanti al punto giusto, né “taglienti” né rammolite dal contatto con la ricotta (e qui conta molto anche la freschezza del prodotto), per cui si può dare per superato a pieni voti pure questo esame etnico-gastronomico, foss’anche alla presenza del napoletano più esigente e sospettoso.
Si sarà capito a questo punto che Pizzami, soprattutto grazie al fattore umano rappresentato dal titolare Marco Sanfrancesco e dal pizzaiolo Ciro Giordano, è la prova vivente che non solo a Napoli si trova la pizza buona, dall’impasto soffice e leggero: e ora chi voglia rimanere “impastato” nei soliti luoghi comuni campanilistici non ha più scuse.