Mille Fiate. Il dialogo artistico di Massimo Kaufmann con la Sala Fanese, nel Palazzo D’Accursio di Bologna. Dal 16 gennaio al 3 marzo 2019. Curata da Giusi Affronti, tema centrale della retrospettiva è la contrapposizione artistica che vede da un lato la novità linguistica della produzione di Kaufmann e dall’altra la plasticità degli affreschi presenti in loco.
Ma cosa funge da anello di congiunzione tra i due? L’attrazione verso il classico. L’artista milanese infatti modella nelle opere esposte in sala, il concetto di “Clinamen”. Parola latina, che sta ad indicare: “quando i corpi cadono diritti attraverso il vuoto per il loro peso, in qualche tempo e luogo non definiti deviano per un poco, tanto che appena può dirsi modificato il loro percorso»”.[1]
Grande teorico di questo concetto, è il poeta Lucrezio, che nel suo De Rerum Natura lo ripropone in chiave più poetica. Dunque Kaufmann estrapola il concetto di aggregazione e disgregazione degli atomi, ma questi ultimi concetti dove sono riscontrabili nei suoi lavori? Di certo nella costante presenza di “punti”. Essi appaiono magicamente nella tela e si fondono con le pennellate colorate dell’artista. La sua tecnica nasce da lente sovrapposizioni di velature, dove l’azione si riduce ai minimi termini.
Atomi, punti e atmosfera sono i concetti chiave che più di tutti dipingono e delineano la mostra al Palazzo D’Accursio. Un ulteriore intento della retrospettiva è quello di dare rilievo al colore. Un invito a percepire le atmosfere evocate dai dipinti attraverso la tecnica della velatura o della sfumatura.
Le sei opere (olio su tela) di grande formato, vengono allestite come fossero delle vere e proprie quinte teatrali. Dunque lo spettacolo consta proprio nella visione dell’intero. Il titolo “Mille fiate” però, come ci spiega l’artista stesso, in realtà non ha attinenza diretta con la mostra. Se non, con il desiderio di rimandarci ad un’idea di sacralità ed imponenza, suggestione che ancora una volta ci viene data dallo spazio che le ospita. Il titolo fa inoltre riferimento ad una citazione tratta dal Canzoniere di Francesco Petrarca. Ennesimo riferimento culturale. Entrando in sala, il quadro più grande dà le spalle al pubblico, perciò lo spettatore deve spostarsi, avanzare e girare il capo per avere uno scontro diretto con l’opera. Kaufmann ci tiene a precisare che “la sua mostra non si vende al mercato, in una bancarella”[2]. Dunque noi fruitori siamo chiamati a gironzolare, a perderci nelle tinte vivaci e sfumate delle sue tele. Per ricercare qualcosa che vada oltre la pura rappresentazione. E per farlo abbiamo tutto il tempo di cui necessitiamo.
Di nuovo l’artista: «I miei dipintisono un processo lento, fatto di passaggi di colore, di attesa, di osservazione, di pause lunghe e ancora di colore».[3] Una configurazione a tratti labirintica, dove l’io personale va alla ricerca dell’opera astratta e tenta di indagare nelle sue evanescenze i riferimenti culturali e sensibili che l’artista vi esprime.
[1] Dal De Rerum Natura, Lucrezio (II, 216-219).
[2] Intervista di BolognaToday https://www.bolognatoday.it/eventi/cultura/art-city-mostra-palazzo-d-accursio.html
[3] Intervista di BolognaToday https://www.bolognatoday.it/eventi/cultura/art-city-mostra-palazzo-d-accursio.html