Di chi è il murale apparso all’esterno del Mudec? Perché Banksy ha risparmiato la mostra di Firenze nella sua denuncia? Il nostro articolo sulla denuncia di Banksy agli organizzatori della mostra del Mudec ha sollevato alcuni interrogativi nei nostri lettori.
Il ratto di Banksy
Dopo il nostro articolo sulla vicenda della denuncia da parte della Pest Control di Banksy verso la società che ha organizzato la mostra The art of Banksy. A visual protest del Mudec a causa della vendita nel bookshop di prodotti che portavano il nome dell’artista di Bristol, molti lettori di ArtsLife ci hanno segnalato un disegno affisso proprio all’esterno del museo intitolato ‘Il ratto di Banksy’. Nel murale, i componenti della celebre banda bassotti della Dinsney, indossano delle tute dove al posto del numero della cella della prigione – come appaiono di solito nei fumetti – c’è la scritta del Mudec. Uno dei tre tiene in mano un’opera di Banksy. Il riferimento alla mostra non autorizzata non ha bisogno di grandi interpretazioni.
I lettori ci hanno chiesto notizie sul murale, qualcuno ha ipotizzato addirittura la paternità di Banksy . In realtà il disegno si trova affisso fuori dal Mudec già dal 10 gennaio e si tratta dell’opera di Cristina Donati Mayer, artista che varia dall’urban art alla performance, molto attiva a Milano con le sue incursioni sui muri della città che lei stessa definisce ‘artivismo‘ in quanto hanno sempre una forte connotazione sociale. Femminicidi, la questione dei migranti, la violenza sulla natura e la mercificazione delle opere pubbliche. La motivazione del suo ‘artentato‘ notturno sul muro del Mudel è stato svelato sulla sua pagina Facebook:
Questo intervento artistico è un tributo all’artista inglese, protagonista dell’arte pubblica impegnata nel mondo e uno sfottò al Mudec (museo delle culture) che ha allestito la mostra grazie soprattutto al furto e all’appropriazione privata delle opere pubbliche e bene comune realizzate dall’ “artista invisibile”. Collezionisti, trafficanti d’arte senza scrupoli, galleristi e musei di tutto il mondo fanno a gara nell’organizzazione di mostre clandestine legalizzate con le opere di Banksy rubate dai muri.
Sono gli stessi, con le pubbliche autorità, che considerano i graffiti, la street art e l’arte pubblica, un crimine da perseguire, salvo scoprire un autore quotato milioni e rubare la sua arte rinchiudendola in quattro sontuose e polverose mura: l’antitesi dell’arte pubblica.
Ha ragione Banksy: l’arte deve essere contro il potere e dare fastidio allo status quo, altrimenti non è arte. Come aveva ragione Vladimir Majakovskij in “La democratizzazione dell’arte” del 1918, affermando “Siano le strade un trionfo dell’arte per tutti”.
Street Art without Street is only Art
Non si tratta dell’unico atto di protesta verso la mostra allestita al Mudec (e in generale verso la musealizzazione della street art). Sempre a Milano, altri due artisti hanno voluto esprimere il proprio dissenso.
Mr. Savethewall approfittando dei manifesti ‘free art space‘ messi a disposizione proprio dal Mudec agli artisti, ha lanciato il suo manifesto ‘La Street Art è morta’ sostituendo la testa di Golia del celebre ‘“Davide con la testa di Golia” del Caravaggio, con quella di una scimmia, maschera indossata qualche volta dal più famoso street artist del mondo (oltre che uno dei suoi soggetti preferiti). Accanto alla scritta ‘Art is dead‘ le date di apertura e chiusura della mostra del Mudec.
In questo caso però più che una provocazione si trattava di una sottile riflessione legata al nuovo corso della street art che, secondo l’artista, è ormai maturata in qualcosa di diverso che potremmo definire ‘post street art‘. Insomma, ‘street art without street is only art‘ scrive l’artista, riprendendo la celebre citazione di Banksy ‘The earth without art is just eh‘. Come ha spiegato sui suoi canali social:
La street art nasce in strada ed in strada si esprime secondo la propria ragion d’essere.
Oggi la street art è matura e, se non morta, sicuramente diversa dall’origine.
L’unico museo riconoscibile per la street art è quello a cielo aperto della strada.
“Street art without street is “just” art”.
Entrando nei musei cambiano le regole del gioco, le nuove regole sono quelle del sistema (dell’Arte, appunto).
Anche Tvboy– lo street artist dell’ormai iconico bacio tra Salvini e Di Maio per intenderci – non ha mancato di omaggiare ‘il maestro’ Banksy. Sempre a Milano, a poca distanza dal Mudec, aveva realizzato a dicembre un murale dove un ipotetico Banksy di schiena aggiungeva ‘un’ all”official’ della mostra. Tvboy rifletteva sul labile confine tra ‘ufficiale e non ufficiale’, tra ciò che è legale o illegale, riferendosi appunto a una mostra autorizzata che esponeva opere non autorizzate.
Insomma, la presa si posizione del mondo della street art sulla questione della musealizzazione delle opere di Banksy -e più in generale di ogni opera di arte urbana – è stata rivelata ben prima della famosa denuncia dell’artista inglese.
Perché la denuncia alla mostra di Milano e non a quella di Firenze?
Quella del Mudec non è di certo la prima e non sarà nemmeno l’ultima delle esposizioni ‘non autorizzate’ dedicate a Banksy. Perché Banksy per la prima volta ha denunciato un’istituzione per una sua mostra non autorizzata? Fino ad ora si era limitato a qualche battuta sarcastica sul suo account Instagram. In particolare, si sono chiesti in molti, perché non ha denunciato anche gli organizzatori della mostra di Firenze allestita al Palazzo Medici Ricciardi (e prorogata fino al 24 marzo)?
Innanzitutto, ogni mostra – si tratti di Banksy o qualunque altro artista – si caratterizza principalmente per il taglio curatoriale che indirizza il valore scientifico di tutto il progetto. Nella mostra di Firenze si analizzava in particolare l’evoluzione concettuale delle opere dell’artista di Bristol. Un aspetto complesso mascherato dall’incredibile capacità di sintesi dello street artist attraverso le sue immagini apparentemente semplici. Una lettura trasversale dunque del fenomeno mediatico, dove non c’era solo da vedere ma anche molto da leggere accanto a ogni opera. L’aspetto principale però è probabilmente un altro: gli organizzatori della mostra di Firenze non hanno prodotto merchandising e non hanno editato un catalogo della mostra, a differenza dell’esposizione del Mudec.
La street art è morta?
Il dibattito è aperto e ben lontano da una soluzione. La street art è davvero morta o comunque morente? L’ingresso degli street artists nel circuito delle gallerie e perfino delle aste ha snaturato la sua funzione? Impossibile rispondere con una definizione che riesca a sintetizzare le molteplici sfaccettature di un fenomeno che si fa fatica perfino a storicizzare. Recentemente ci siamo occupati dei bellissimi lavori di jorit a Napoli e di Blu a Roma. Difficile pensare che una Ilaria Cucchi, rappresentata da Jorit o la denuncia delle storture del capitalismo di Blu non rappresentino una forma di street art libera e potente, anche se all’interno di un contesto legale. Lo stesso Jorit del resto, ha denunciato la Peroni di aver usato una sua opera senza autorizzazione per promuovere una nuova birra. E’ vero, in giro c’è anche tanto ‘decorativismo’ ma non può essere la clandestinità l’unico metro per misurare la libertà intellettuale di un artista. Forse ciò che conta davvero è la potenza del messaggio che vuole comunicare. Il lavoro di artisti come jorit e Blu nelle strade delle periferie dimenticate da tutti secondo noi rappresenta la migliore risposta alla questione: la street art la fa l’impegno sociale. Una rondine non fa primavera, l’incursione notturna e clandestina non fa necessariamente la street art.
2 Commenti
Far conoscere al pubblico ‘borghese’ un geniale artista di strada non mi sembra un tradimento del suo messaggio e, riguardo ai gadget, basta non comprare..
Far conoscere al pubblico ‘borghese’ un geniale artista di strada non mi sembra un tradimento del suo messaggio e, riguardo ai gadget, basta non comprare..