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Intervista ai curatori della Biennale di Sharjiah: Claire Tancons, Zoe Butt, Omar Kholeif

Claire Tancons, photo by Nicola Bustreo Claire Tancons, photo by Nicola Bustreo
Claire Tancons, photo by Nicola Bustreo
Claire Tancons, photo by Nicola Bustreo

Dal 7 marzo al 10 giugno 2019, nell’Emirato di Sharjah si tiene la XIV Biennale, una delle manifestazioni artistiche più importanti del Medio Oriente.

Intitolata Leaving the Echo Chamber, l’edizione di quest’anno riflette sul tema della manipolazione delle immagini nel mondo dell’informazione, e sulla necessità per l’arte di mantenere la propria indipendenza di pensiero. All’insegna della sperimentazione, delle diverse concezioni di realtà e della creazione del dibattito sociale. Il team curatoriale ci riassume la Biennale nelle sue linee principali.

La sperimentazione è sempre stata una caratteristica della Biennale. Potete anticiparci cosa ci attende, sotto questo punto di vista, nel 2019?

Claire Tancons. La sperimentazione è un termine troppo esteso, poiché non c’è alcun valore intrinseco nella sperimentazione in se stessa. Per riflettere su cosa succederà in Look for Me All Around You, la mostra da me curata all’interno della Biennale, posso dire che sia io sia gli artisti stiamo navigando in acque sconosciute. Da un lato, ciò è dovuto al contesto degli Emirati Arabi Uniti e dell’Emirato di Sharja in particolare. Da un altro, è dovuto al fatto che tutti gli artisti stanno creando nuove opere e io sto lavorando in sedi espositive che non sono mai state usati prima in tal senso, e lo stanno diventando per l’occasione. Aggiungete a ciò il fatto che le opere coprono un ampio spettro di metodi di performance – dalla materia al corpo – e ciò può dare l’impressione di avere un background maturo per la sperimentazione. Ma alla fine, la sperimentazione è una questione di tempo, che è sempre più scarsamente disponibile, e che emerge al di fuori dei contesti istituzionale e curatoriale, nei recessi delle menti degli artisti. Invece, affrontando la nozione di sperimentazione nella sua definizione scientifica, posso affermare che sì, molti esperimenti sono in corso, ad esempio nelle opere di artisti come Nikolaus Gansterer e Aline Baiana, che stanno provando combinazioni di materia organica, o in quelle di Jennifer Allora, Guillermo Calzadilla e Annie Dorsen, che stanno codificando programmi per computer e test di combinazioni algoritmiche.

Zoe Butt, 2018. Image courtesy of Sharjah Art Foundation
Zoe Butt, 2018. Image courtesy of Sharjah Art Foundation

Zoe Butt. All’interno di Journey Beyond the Arrow, la mostra da me curata, gli artisti sperimentano con il concetto di ricordo del passato e della sua registrazione. Dalla creazione di propri archivi le cui finzioni rappresentano un fatto orale; dall’uso delle tecnologie VR e 3D per ripresentare le presunte narrazioni della cultura e della loro “nazione”; dalla memoria della musica come riflesso del movimento umano, fino all’unione tra cultura ed economia. Film, installazioni, sculture, disegni, progetti partecipativi, pitture, fotografia, suono, musica, performance e altro ancora, la sperimentazione è presente nella pratica di ogni artista, anzi la loro abilità concettuale e tecnica ha fortemente determinato il concetto curatoriale e l’approccio di ricerca per Journey Beyond the Arrow.

Omar Kholeif. Tutti gli artisti coinvolti nella Biennale stanno sperimentando forme e contenuti. Lawrence Abu Hamdan, ad esempio, sta studiando la politica post-trauma attraverso una narrazione della reincarnazione. Marwa Arsanios sta considerando l’agricoltura nella Siria postbellica da una prospettiva femminista. Shezad Dawood ci accompagna in un viaggio nella realtà virtuale attraverso la complessa storia politica e architettonica del Pakistan nel suo progetto Encroachments. Candice Breitz sta realizzando la sua prima installazione video senza immagini in movimento, utilizzando scultura e pittura. Pamela Rosenkranz si tuffa nella mitologia e nella guarigione, manifestandola sotto forma di un serpente concepito come un animatronic. Questi sono solo alcuni esempi di come gli artisti stiano spingendo i confini dei risultati formali, ma anche dei mezzi attraverso i quali relazioniamo ad alcuni dei più complessi contenuti sociali e politici del nostro tempo.

Omar Kholeif. Photo by Eric T. White
Omar Kholeif. Photo by Eric T. White

 

Arte e verità del reale. Un rapporto non sempre facile, a volte anzi decisamente scomodo, in particolare nell’epoca in cui la percezione della realtà è sempre più manipolata attraverso le cosiddette fake news. La Biennale vuole quindi lanciare un appello a un maggior impegno civile dell’arte a “combattere” per la verità, e in definitiva, per la libertà?

Claire Tancons Se l’arte non anticipa le tendenze generali della civiltà e della cultura tanto quanto le segue, non è difficile dedurre che il margine di manovra per la “libertà” potrebbe assottigliarsi insieme a qualsiasi altra limitazione del “mondo reale”. La pratica artistica certamente, nella sua manifestazione istituzionale, non sfugge dall’idea di spazio alternativo e non si esime dal lottare per essa, così come partecipa, talvolta imponendola, a una certa uniformazione della correttezza politica. Quindi forse la domanda dovrebbe essere: in quale contesto e in quali circostanze le biennali possono diventare spazi di eccezione per l’articolazione di “verità” sconosciute che necessitano di divulgazione, o fornire il terreno per piattaforme di impegno civile in tal senso? Per rispondere dal punto di vista delle opere dei ventisette artisti di Look for Me All Around You, posso dire che attraverso certe forme di permeabilità, malleabilità, effimero e fragilità materiale, possono nascere percorsi che vanno verso verità scomode. Credo che l’oscurità, la fugacità e l’ambiguità, in tempi così insidiosi di defezione del significato delle cose, possano essere più utili della trasparenza. Per quanto riguarda la verità, concluderò citando il titolo dell’ultima conferenza di Édouard Glissant (pubblicata sul sito mondesfrancophones.com): “Niente è vero, tutto è vivo”.

Zoe Butt. Credo che questa XIV Biennale presenti la capacità degli artisti di riflettere sui diversi concetti di realtà, e quindi forse di “verità”, che però è un concetto che si giudica con parametri culturali e religiosi differenti a seconda dei Paesi, e quindi l’ideale di “libertà” non può essere considerato “universale”. Per me, questa Biennale chiede il rispetto per la nostra voce, per a vibrante meraviglia dei suoi linguaggi, rituali, costumi, credenze e pratiche culturali.

Omar Kholeif. Non credo che l’arte combatta per la verità, credo invece che crei uno spazio dialettico per far emergere diversi tipi di dialogo. Come vediamo ogni giorno, il mondo sta cambiando per sempre nell’età della cosiddetta Eco Chamber, ad esempio nella problematica delle fake news. Il ruolo egli artisti è quello di proporre letture alternative che ci incoraggino a inquadrare la politica da molteplici punti di vista.

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