A Bergamo inaugura la prima retrospettiva dedicata da un museo italiano all’austriaca Birgit Jürgenssen. Alla GAMeC dal 7 marzo al 19 maggio.
Ich bin. Io sono. La frase, scritta con un gesso, campeggia candida al centro di una lavagnetta nera, a fianco alla quale penzola una spugna per cancellare. Un’affermazione di consapevolezza di sé così forte ma al contempo così facile da cancellare. Una sentenza evocativa quella che da il titolo a un progetto nato dopo 10 anni di ricerca d’archivio ad opera di Natascha Burger, curatrice della mostra, a cui è spettato l’arduo compito di selezionare 200 tra le circa 5 mila opere prodotto dall’artista durante la sua carriera, interrotta dalla sua prematura scomparsa nel 2003, all’età di 54 anni. Bergamo è la seconda delle tre tappe che le opere percorreranno. Partite dall’allestimento alla Kunsthalle Tübingen (Germania), partiranno poi per la Danimarca, alla volta del Louisiana Museum of Modern Art di Humlebæk.
La mostra segna la riscoperta di un’artista che ha posto la figura femminile sotto la sua lente d’indagine, analizzandone la sessualità, il rapporto con l’uomo e il ruolo affibbiatole dalla società. Il tutto influenzato dalla sua stessa condizione di donna e di artista in una società e in un’epoca in cui le differenze di genere erano ancora particolarmente marcate. Timida ma provocatrice, ha scelto di scendere in campo in prima persona nell’esplorazione della fisicità e della condizione femminile. Frammenti del suo stesso corpo compaiono nelle fotografie dissacranti e ironiche, il cui risultato non è un’esibizione ostentata della carne ma un gioco di proiezioni e rimandi che man mano svelano l’universo femminile, partendo dalla dimensione puramente esteriore ed estetica per arrivare a quella interiore e psicologica.
Grafica per formazione, Birgit Jürgenssen ha spaziato dalla pittura alla scultura alla fotografia. Di quest’ultima ha fatto il suo medium prediletto, destreggiandosi con tecniche diverse, nate dall’accostamento della pellicola fotografica a materiali inusuali come il tessuto, il cui utilizzo crea degli effetti ottici assolutamente originali per l’epoca.
Il percorso espositivo si apre con un tuffo nel passato più lontano, agli albori della carriera di quella che inizialmente era solo un bambina con la passione per l’arte che lottava contro dei genitori un po’ troppo conservatori, per i quali essere donna equivaleva ad avere un marito e dei figli più che a sporcarsi le mani con la pittura. Nonostante l’ambiente familiare avverso, la piccola Birgit aveva le idee ben chiare sul proprio futuro, e iniziò a ricopiare le opere dei grandi del passato, arrivando a firmare i propri lavori con “Bicasso” (fusione tra il suo nome e quello di Picasso). Ai suoi disegni di bambina si alternano quelli realizzati per i bambini. Tra gli anni ’60 e ’70 si dedica a illustrare delle riviste per ragazzi, per le quali crea personaggi fantastici e piccole sequenze narrative. In onore dei piccoli a cui originariamente erano destinate, le immagini sono state appese alle pareti a un livello adatto per essere osservate dai visitatori più giovani.
Alle prime opere di formato medio e piccolo si affiancano quelle di grandi dimensioni realizzate nella fase più tarda della sua carriera, in cui una carica espressionista da slancio alle pennellate che delineano i corpi di donna con linee fluide e colori pastosi. Procedendo attraverso le sale i medium e i formati si alternano, ma le tematiche restano le stesse. La sua è una ricerca polarizzata intorno ai due grandi temi del genere e della natura, che si susseguono in un dialogo serrato di confronto e reciproca contaminazione. I luoghi comuni sulla donna vengono presi e ribaltati con un’ironia pungente e sagace, che fa diventare la casa, luogo del focolare domestico, una gabbia da cui è impossibile scappare.
L’artista non si ferma soltanto all’indagine sull’essere umano, ma studia anche il rapporto tra questo e la natura. Una relazione dialettica tra due mondi che si fondono e si confondono sulla tela, dove ci si ritrova a guardare un paesaggio montuoso che in realtà altro non è se non una spina dorsale “sdraiata”. Animali e vegetali prendono possesso della scena sovvertendo la concezione antropocentrica della realtà.
Quella di Birgit è una voce femminista che si distanzia però dalle esponenti più ferventi e battagliere. La sua non è una critica superficiale del genere maschile. Analizza entrambi i mondi e i preconcetti ad essi legati, facendo prevalere l’idea che ognuno debba poter dire la sua, come enuncia la frase che compare sulla sua schiena ritratta in fotografia: Jeder hat seine eigene ansicht, ognuno ha la propria visione.
*Ich möchte hier raus! / Voglio uscire di qui!, 1976
Informazioni utili
BIRGIT JÜRGENSSEN
IO SONO.
a cura di Natascha Burger e Nicole Fritz
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo,Via San tomaso, 53
7 marzo – 19 maggio 2019
lun – dom: 10:00 – 18:00
martedì chiuso