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Palazzo Barberini celebra l’Allegoria dei Cinque Sensi di Gregorio e Mattia Preti

Gregorio Preti, Cristo mostrato al popolo, 1645-1655, Torino, collezione privata, olio su tela Gregorio Preti, Cristo mostrato al popolo, 1645-1655, Torino, collezione privata, olio su tela
Gregorio Preti, Cristo mostrato al popolo, 1645-1655, Torino, collezione privata, olio su tela
Gregorio Preti, Cristo mostrato al popolo, 1645-1655, Torino, collezione privata, olio su tela

L’imponente tela seicentesca denominata “Allegoria dei cinque sensi” dipinta a due mani dai fratelli calabresi  Gregorio (Taverna, 1603- Roma, 1672) e Mattia (Taverna, 1613 – Malta, 1699) Preti durante il periodo della loro lunga permanenza a Roma e ascrivibile, verosimilmente, ai primi anni quaranta del secolo (quando ancora il più giovane e poi più celebre Mattia lavorava nella bottega del fratello) –  da sempre custodita dai Barberini, che probabilmente la commissionarono – viene finalmente riconsegnata alle preziose sale del Museo dopo un lungo e forzato oblio grazie soprattutto al delicato restauro –  sponsorizzato dallo studio legale Dentons (ammirevole mecenatismo!) – a cui è stata sottoposta e che ha reso giustizia degli insulti del tempo e dell’incuria degli uomini.

Gregorio e Mattia Preti, Concerto con scena di buona ventura (Allegoria dei cinque sensi), 1630-1635, Torino, Accademia Albertina, olio su tela
Gregorio e Mattia Preti, Concerto con scena di buona ventura (Allegoria dei cinque sensi), 1630-1635, Torino, Accademia Albertina, olio su tela

Il dipinto impagina una sequenza di scene di taverna – un genere di chiara ispirazione caravaggesca – interpretata come un’allegoria a sfondo didascalico della vacua malìa dell’appetizione sensoriale: Il concerto (udito), la mescita del vino (gusto), il fumatore di pipa (olfatto), la chiromanzia (tatto) mentre la vista è allusa dall’autoritratto di Gregorio che scruta attento il riguardante. Alla mimica espressiva dei due filosofi – Eraclito piangente e Democrito gaudente – collocati all’estremità destra della tela, è demandato icasticamente il monito sulla natura ingannevole dei sensi. Come sottolineato dai curatori, Alessandro Cosma e Yuri Primarosa, la Roma in cui i Preti si trovarono ad  operare, era un caleidoscopio di stimoli e di esperienze: dagli epigoni del caravaggismo – segnatamente Jusepe de Ribera – al barocco del Guercino e di Lanfranco, alla pittura neoveneta ispirata a Tintoretto e a Veronese. La mostra si sviluppa in due sale. Accanto al dipinto protagonista, altre undici opere la completano a documentare sommariamente la stagione romana dei due fratelli. Ma soffermiamoci ancora sull’Allegoria dei cinque sensi.

Gregorio e Mattia Preti, Allegoria dei cinque sensi, 1642-1646 ca., Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, olio su tela
Gregorio e Mattia Preti, Allegoria dei cinque sensi, 1642-1646 ca., Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, olio su tela

La composizione del testo pittorico, felicemente riportato a nuova e più chiara leggibilità, si presenta ovunque densa di figure ed un colore pregiato – il blu lapislazzuli – la percorre tutta, come a segnare un ritmo, una cadenza cromatica che accompagni morbidamente lo sguardo: dalla manica del liutista al bordo sinistro alla tunica del chitarrista; dai polsini del giocatore di morra alla tunica del filosofo di Abdera. L’occhio si posa su un altro grande olio, Cristo e la Cananea,  che apprendiamo essere più o meno coevo del precedente (1646-479), realizzato però dal solo Mattia. Anche se gli anni, in verità, se li porta maluccio a causa della sporcizia e dell’ossidazione delle vernici che gli conferisce una certa aria tenebrosa. Come ci spiega Primarosa, si tratta di uno dei primi grandi capolavori di Mattia Preti, un’opera dichiaratamente neoveneta e insieme guercinesca, lanfranchiana e in qualche misura ancora caravaggesca: l’artista vi sintetizza, insomma,  tutti i suoi punti di riferimento.

Mattia Preti, Cristo e la Cananea, 1646-1647, collezione privata, olio su tela
Mattia Preti, Cristo e la Cananea, 1646-1647, collezione privata, olio su tela

Gli domandiamo se il tono crepuscolare che soffonde i dipinti sia dovuto in prevalenza all’invecchiamento dei colori. I colori non invecchiano – ci spiega – perché questi pittori antichi avevano messo a punto una tecnica sopraffina. Quella che invecchia è la vernice protettiva che si metteva sopra i colori che si ossida e ingiallisce e, inoltre, con il passare del tempo il dipinto si copre di sporcizia, di polvere. Possiamo dire che il dipinto restaurato ci permette di vedere l’opera come la vedevano i contemporanei? Sì, proprio così.

PalazzoBarberini_IlTrionfoDeiSensi_FotoMostra_Alberto Novelli
PalazzoBarberini_IlTrionfoDeiSensi_FotoMostra_Alberto Novelli

Luigi Capano

Il trionfo dei sensi

Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti
a cura di Alessandro Cosma e Yuri Primarosa

dal 22 febbraio al 16 giugno 2019

Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini

Via delle Quattro Fontane 13, Roma

www.barberinicorsini.org

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