La Fondazione Nicola Trussardi presenta A friend, un’istallazione realizzata da Ibrahim Mahama per i due caselli daziari di Porta Venezia, Milano. Una riflessione sul concetto di soglia e confine, dal 2 al 14 aprile.
L’arte di Ibrahim Mahama nasce dalla storia, quella più recente e quella già lontana. Le sue installazioni avvolgono monumenti, musei, palazzi, stazioni, edifici simbolici e li riallaccia con il loro passato. Sceglie luoghi precisi, carichi di un tessuto valoriale che si è intrecciato con quello urbano. Crea una seconda pelle, spesso realizzata con i sacchi di juta, depositandola sulla struttura e concentrando su di essa l’attenzione. Ma occultata la facciata, ciò che resiste sono le ragioni storiche per cui è stata costruita e soprattutto le vite che ha visto scorrere, gli eventi di cui è stata centro, le cronaca di cui è stata testimone.
Ora Mahama sta realizzando un progetto di questo tipo a Milano, dove in occasione dell’ArtWeek i due caselli daziari di Porta Venezia vedranno l’intervento dell’artista ghanese. Porta Venezia è stata per secoli il primo passaggio verso Oriente, linea di confine non solo tra cinta urbana e campagna, ma anche tra la città e il mondo esterno, simbolo degli scambi e delle connessione con chi esisteva al di fuori della dimensione milanese. A Friend si inserisce in questa narrazione storica riflettendo sul concetto generale di soglia, di interno ed esterno, di conosciuto e sconosciuto, di amico e nemico (o presunto tale).
L’istallazione colpisce perché monumentale, nel suo ricoprire l’edificio, e perché coinvolgente, nel suo lasciarsi sfiorare e interrogare dai numerosi cittadini che ogni giorno attraversano lo snodo nevralgico. Quale la sua origine? Quale la sua funzione ieri? E oggi? Stimoli interessanti e profondi, che costringono l’osservatore a concentrarsi su un edificio che forse in fondo nessuno conosce veramente, nonostante ci sia così vicino. E soprattutto lo costringe a portarsi la riflessione a casa, ad analizzare il riverbero ideologico del monumento e del suo valore simbolico.
All’interno del quale Ibrahim Mahama spera anche sopravviva il suo messaggio personale, legato al suo paese d’origine: il Ghana. I sacchi di juta che drappeggiano gli edifici vengono dai mercati africani, contenitori universali delle merci che verranno poi trasportate in tutto il mondo. Strappati, rattoppati e marcati con vari segni e coordinate, i sacchi con le loro drammatiche ricuciture raffazzonate diventano garze che tamponano le ferite della storia, simbolo di conflitti e drammi che da secoli si consumano all’ombra dell’economia globale.
Con A friend Mahama riesce a tessere un’opera che raccoglie temi universali come la migrazione, la globalizzazione e lo sfruttamento economico, riallacciandosi direttamente con la storia italiana e con la storia dell’arte. Impossibile infatti, non pensare ai dipinti di Burri o alle istallazioni di Christo, che negli anni Settanta aveva impacchettato i monumenti a Leonardo da Vinci e a Vittorio Emanuele in Piazza Scala e Piazza Duomo. Ma pensando a Porta Venezia, le citazioni non finiscono qui: dall’ingresso della peste che devastò la città con l’epidemia del XVII secolo, passando per le descrizioni nelle pagine de I Promessi Sposi, fino ad arrivare ai quartieri multietnici che oggi si articolano intorno a questo snodo fondamentale.