Sofia: maternità e disuguaglianze sociali nel Marocco di oggi. In sala il film premiato a Cannes per la miglior sceneggiatura
Sofia, primo lungometraggio della giovane e brillante regista marocchina Meryem Benm’Barek-Aloïsi, già premio per la migliore sceneggiatura nella sezione Un Certain Regard all’ultimo Festival di Cannes, è arrivato nelle sale italiane. Con Sofia, Meryem Benm’Barek-Aloïsi porta sullo schermo una protagonista pronta a diventare paradigma di un nuovo femminile, cosciente e in grado di mostrare forza e spregiudicatezza persino nelle condizioni più avverse e claustrofobiche.
>> Sofia mette in luce non solo le disuguaglianze fra uomo e donna in una società come quella marocchina, mossa ancora da leggi patriarcali, ma focalizza – ed è qui che lo sguardo di Benm’Barek-Aloïsi si fa più intenso – le disuguaglianze sociali e quella spinta liberista di un paese in crescita economica che precede sempre i cambiamenti democratici.
Il film è introdotto da una segnalazione legislativa «articolo 490 del codice penale marocchino: tutte le persone di sesso opposto non legate da vincolo matrimoniale che hanno rapporti sessuali sono punibili con la reclusione fino a un anno». Su questa citazione si apre l’interno familiare di Sofia (interpretata con maestria da Maha Alemi), siamo a Casablanca dove le famiglie di due sorelle – la madre e la zia della protagonista – stanno pranzando e discutendo di un accordo che porterà il padre di Sofia a lavorare con i cognati, già ricchi imprenditori. Durante il dolce la ragazza inizia ad accusare fitte al basso ventre e la cugina medico Lena (che ha la bellezza e il magnetismo naturale di Sarah Perles) l’accompagna in ospedale dove le vengono immediatamente richiesti i documenti del marito, senza i quali non è possibile ricoverarla nemmeno per una visita. Inizia così un difficile percorso che condurrà Sofia fra le spire della legislazione (compresa una notte in prigione) e mobiliterà le donne della famiglia, soprattutto Lena e la zia Leila (Lubna Azabal che sfoggia qui un’eleganza à la Marisa Berenson), costrette a lambiccarsi per trovare una soluzione all’onta portata in casa da Sofia.Sofia passerà da uno stato catatonico e rallentato, ci convinciamo di essere di fronte a un’adolescente sprovveduta, cresciuta senza alcuna esperienza del mondo, a una dimostrazione di terribile autodeterminazione che, se per le donne più adulte della famiglia è più facile da comprendere -perché concorde con il ruolo conservativo della donna in una società maschilista come quella marocchina – per Lena, avviata alla professione medica e giovane donna di grande sensibilità diventa impossibile.
Sofia permette a Meryem Benm’Barek-Aloïsi di tratteggiare una figura unica nel cinema contemporaneo, paradigma di un nuovo femminile, giovane ma già cosciente e autodeterminato, in grado di superare il cinismo più gelido dell’età adulta. Sofia nelle prime battute del film ci sembra catatonica, priva di stimoli, in realtà è l’unico personaggio a mostrare un cambiamento personale lucido e meditato.
Meryem Benm’Barek-Aloïsi nella seconda parte del film ritrae Sofia en plein air, lontano dagli anfratti e dal buio delle ambientazioni iniziali, illuminata dal sole e controvento; è quasi una figura sacra nei primi piani iconici della regista, con la sua bambina in grembo, la camera la segue fino all’abbraccio di un’eleganza tradizionale, che contrasta con le bellezze occidentalizzate della cugina Lena e della zia Leila. È così che Sofia sceglie di non contrapporsi alla cultura maschilista in cui è cresciuta ma di sposarla, riuscendo a ottenere ciò che vuole pur mantenendo lo status quo.
Per farlo Sofia sa che dovrà pagare un prezzo altissimo ed è pronta a farlo con stoico e raggelante coraggio che l’avvicinano alle più complesse eroine del cinema e della letteratura.