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Possibili tangenti: Marcel Duchamp incontra Friedrich Nietzsche, dall’Eterno Ritorno alla Ruota di bicicletta

Marcel Duchamp, Ruota di Bicicletta
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Marcel Duchamp e Friedrich Nietzsche non si sono mai conosciuti, ma l’Eterno ritorno e Ruota di bicicletta si scambiano corrispondenze che ne amplificano il messaggio. Proviamo a lasciarle emergere.

“Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e ogni cosa indicibilmente piccola e grande della tua vita, dovrà fare ritorno a te, […]. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta – e tu con essa, granello di polvere!”

Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza, Aforisma 341

Ogni cosa, dalla più grande vergogna al più esaltante momento di felicità, vivrà ancora e ancora. Una prospettiva terribile, oppure consolatoria?

Da che angolo la si prenda, la questione esercita un fascino inequivocabile: allacciando ai suoi estremi la linea del tempo, ne spezza irrimediabilmente la struttura. Non più lineare, il tempo scorre circolarmente riprendendosi in modo inesorabile, determinando l’estinzione del concetto di inizio e fine. È la teoria che Friedrich Nietzsche elaborò senza mai completare, ammantandola del fascino di un’ipotesi quasi esoterica: l’Eterno ritorno.

Con lo stesso gioco circolare si muove la Ruota di bicicletta di Marcel Duchamp, avvitata al contrario su uno sgabello. L’improvvisa immobilità della ruota a cui viene negata la sua natura motoria è paragonabile all’infinita sospensione in cui il cerchio del tempo è condannato nell’istante in cui ogni sua parte è destinata a ripresentarsi. La ruota senza telaio, sollevata dal suolo, gira perpetuamente senza destinazione, guadagnando un moto continuo ed inutile: perciò artistico. Il tempo, senza un termine, privo di un polo dove indirizzarsi, si vede privato del suo ruolo di divoratore di anni, di pendolo spietato, concedendo continue repliche allo spettacolo di cui è contenitore.

Friedrich Wilhelm Nietzsche
Friedrich Wilhelm Nietzsche

Ma nella totale assenza di finalità possiamo forse intravedere un risvolto a cui non abbiamo subito prestato attenzione. Ha veramente senso un evento che accade solo una volta? Quale valore ha una decisione, se la sua conseguenza, mal che vada, si perderà con la morte? In una concezione cattolico-cristiana-lineare dello scorrere, tutto ciò che accade esiste nello spazio e nell’istante in cui si manifesta; dopodiché scompare, lasciando solo il riverbero delle sue ripercussioni, che come i cerchi nell’acqua finiranno gradualmente per perdersi nel mare del mondo. La religione prova a consolarsi con una promessa imbattibile: ci aspetta una vita oltre la morte, li troverai il tuo senso e vivrai senza tempo. Ma se Dio è morto, come sosteneva Nietzsche, allora lo siamo anche noi: tutto ciò che è, l’attimo dopo non sarà più. Che cosa rimane allora?

Meglio dunque provare ad abbandonarci alla suggestione del filosofo tedesco e immaginare come sarebbe la nostra esistenza in loop. Saremmo catapultati in una dimensione totalmente opposta, in cui il respiro che prendi ora, l’idea che hai per questa sera, il progetto che hai per la tua vita, la decisione di lasciare la tua città, quella di avere un figlio, ogni sfumatura, accidentale o voluta, che hai accolto nella tua vita, sarà la stessa per l’eternità. La nostra vita ha sicuramente guadagnato rilevanza, ma ogni scelta è ora un solco perenne che siamo destinati a compiere ancora e ancora. Come possiamo allora scegliere, con questo enorme peso da affrontare?

Forse non è necessario, perché forse abbiamo già scelto: questo può essere il terzo, quarto, centesimo giro nella giostra continua che è diventata l’esistenza. Forse ciò che stiamo esperendo è già completamente scritto, già preparato: un ready-made.  Già fatto, pronto all’uso: la ruota, come i nostri anni. Nella poetica dadaista il recupero degli oggetti più comuni, forse destinati all’oblio, diventa centrale nella pratica di elevarli ad opera d’arte, assegnando individualmente e arbitrariamente un significato ulteriore. Così gli anni che viviamo sono la scultura esistenziale che noi stessi abbiamo realizzato chissà quante orbite fa: quanti colpi di pendolo abbiamo vissuto senza ricordarcene? Illusi di agire liberamente assecondiamo ineluttabilmente il racconto delle nostre stesse mute decisioni.

Marcel Duchamp, Ruota di bicicletta, 1913-1964
Marcel Duchamp, Ruota di bicicletta, 1913-1964

La morte di Dio l’ho sempre immaginata in una cattedrale spenta, mosaici freddi e luce che entra stanca, di rado, dalle finestre opache. L’incenso che porta tristemente con sé un sentimento etereo, che solleva l’occhio fino ad una tenda strappata sul fondo della navata, la quale ci ricorda della speranza ferita irrimediabilmente. Le stiamo di fronte tutti, come uomini senza fede e futuro, senza soluzione e senso. Come accettare la nostra predeterminata contingenza?

Riprendendo quello strano girare della ruota ribaltata, potremmo lasciarci conquistare dal suo muoversi inutile, ma illimitato nelle ipotesi che genera. Se il ready-made non brilla per qualità artigiana, stimola però la riflessione, aprendo un dialogo con l’osservatore alla ricerca di un significato. Duchamp definisce un ponte tra opera e osservatore, ponendo il discorso artistico in questo territorio di mezzo dalle configurazioni impreviste. Un’opera, come la vita, non è solamente ciò che appare. Ma è anche, e soprattutto, quello che noi decidiamo che sia. Il significato che siamo in grado di concedere alle nostre esperienze è l’unica possibilità di reagire alla mancanza di un giudizio esterno sulla nostra esistenza. Allo stesso modo Duchamp ha costretto l’osservatore a vivere attivamente l’opera d’arte, connettendo la sua sensibilità ad un concetto che risiede oltre l’estetica. Con l’uomo solo al centro del suo mondo, siamo costretti ad accettare in maniera propositiva la necessità del divenire traendone il significato più profondo attraverso la forza della nostra libertà creativa.

Come ha fatto Duchamp con la storia dell’arte, come noi stiamo facendo con la sua opera senza tempo.

*Marcel Duchamp, Ruota di Bicicletta

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