M¥SS KETA presenta il nuovo album PAPRIKA. In una gastronomia. Le ragazze stanno bene
Una donna di spettacolo, ma soprattutto uno spettacolo di donna: è così che ama definirsi M¥SS KETA, l’angelo dall’occhiale da sera e dal volto velato (il modo migliore per dire la Verità: “non avendo volto, c’è un po’ di M¥SS in ognuno di noi”). Il 29 marzo è uscito il suo ultimo album: PAPRIKA.
Dopo gli anni di gavetta (l’esordio è nel 2013, con l’instant cult MILANO, SUSHI E COCA), M¥SS KETA oggi è la regina della scena musicale alternativa italiana e internazionale. È la Spice Girl degli anni Duemila, una guerriera Sailor che non veste alla marinara, paladina della giustizia e degli after in Duomo. Un’icona pop, irresistibile sirena che ha fatto del mondo queer il protagonista del suo canto. Dopo tormentoni come IN GABBIA (NON CI VADO), BURQA DI GUCCI e LE RAGAZZE DI PORTA VENEZIA; dopo l’album UNA VITA IN CAPSLOCK (acclamato anche dalla critica con la puzza sotto il naso) e l’incursione letteraria con il libro UNA DONNA CHE CONTA (Rizzoli Lizard); dopo i live a Parigi, al Berghain di Berlino e l’apertura del concerto di Cosmo al Forum di Assago (2 febbraio 2019), M¥SS è pronta per tornare a stuzzicarci. E provocarci. E lo fa con PAPRIKA, che già dalla copertina è tutto un programma: M¥SS seduta su una mortadella con tacchi a spillo e mascherina d’ordinanza. Titoli sempre rigorosamente in Caps Lock.
Per la presentazione del disco, M¥SS KETA non ha badato alle convenzioni: i giornalisti sono accorsi alla Gastronomia Il Nuovo Principe, in Corso Venezia a Milano, vicino casa (dopotutto, è pur sempre una ragazza di Porta Venezia). Un bicchiere di Lambrusco per tutti e i tavoli ricolmi di panini alla mortadella: M¥SS arriva in un tubino di latex rosso, il volto nascosto da una mascherina di pizzo, l’occhiale da sole e un copricapo da odalisca, Nostra Signora della notte. Vuole citare Tinto Brass, ma nell’era post-Guadagnino è una strega di Suspiria.
Ironica e provocatoria, sì, ma con una marcia in più. Dopo l’introduzione del suo produttore, beve un caffè e chiacchiera con la stampa. Per questo nuovo disco, rispetto ai toni oscuri del precedente album, è pronta a sperimentare. E a “battere il ferro finché è caldo”. Soprattutto da un punto di vista musicale.
«Apertura verso l’esterno: questo è quello che vuole rappresentare questo disco. L’esigenza era proprio quella di guardare all’esterno, sia dal punto di vista delle persone con cui lavorare sia da quello delle sonorità, non più claustrofobiche ma aperte a nuovi mondi e nuovi ritmi: a partire dal rap old school e dall’r&b, reinterpretati con la chiave sonora future pop. Mi sono anche voluta confrontare con alcune lineette melodiche qua e là, vedremo, il prossimo album lo facciamo di canto lirico».
14 brani, di cui 11 nuovi di zecca e 3 remix, e una quantità di featuring impressionante: da Gué Pequeno a Wayne Santana della Dark Polo Gang, attraverso il dissing dell’icona trash Elenoire Ferruzzi («un po’ come Kanye West e Fabri Fibra»), la produzione di Populous, le basi di Gabry Ponte, il remix tutto al femminile (e ci mancherebbe) de LE RAGAZZE DI PORTA VENEZIA con Elodie, Joan Thiele e Priestess, fino all’ultimo, intimissimo brano con Mahmood, il vincitore di Sanremo 2019.
«È stato preziosissimo collaborare con loro. C’è sempre occasione di imparare. Più vedi cose diverse, più ti arricchisci. Sarebbe stupendo passare la vita così, con altre persone in studio a confrontarsi».
E Gabry Ponte?
«Un bellissimo giorno fatato, Gabry Ponte mi ha scritto un messaggio privato. E da lì è nata una storia d’amore conclusasi con questa canzone. Lui ha detto che voleva lavorare con M¥SS e che aveva prodotto un beat su cui credeva che potesse starci bene. Per me è stato un onore ricevere questa chiamata. Mega. Il beat perfetto da mettere in macchina per andare… in ufficio».
E Mahmood? Sembra un tipo completamente diverso dal suo mondo.
«E invece no. Mahmood è una persona super-speciale. Il brano è molto personale e intimo perché c’è una vicinanza mentale che ci accomuna. Sì, è molto diverso dal personaggio di M¥SS, ma ci sono due piani distinti: l’artista e la persona. Io e Mahmood siamo vicini dal punto di vista personale e questo si trasferisce anche sul piano artistico. L’intimità di FA PAURA PERCHÉ È VERO potevo raggiungerla soltanto con lui».
Inquadrare M¥SS all’interno del mercato non è così immediato. È la padrona di un genere tutto suo, che condivide lo storytelling e l’ironia tipici dell’indie italiano, ma con i meccanismi e il linguaggio della trap e del rap.
«È come se fossi un’outsider di tutte e due, ma in lista per entrambi i posti. È come essere in lista per il Plastic e l’Arci Ohibò, contemporaneamente nella stessa sera. Ma il progetto di M¥SS è sempre andato dritto per la sua strada, vorrei lasciare agli altri tutta questa fatica di incasellarmi e di categorizzarmi. M¥SS è M¥SS, va dritta».
E ha le idee ben chiare.
«Io non cerco lo scontro, non cerco lo shock. Io cerco il dialogo e cerco l’amore. Sono felice che la mia musica non piaccia a tutti, significa che è un’espressione artistica vera.
All’interno dell’album ho scelto artisti a cui io ho dato carta bianca. È ovvio che con queste canzoni ho cercato di aprire un dialogo, di alzare dei ponti: ma ogni artista parla con il suo linguaggio. Questi pezzi verranno ascoltati dal pubblico di M¥SS, ma anche dal pubblico di Wayne e di tutti gli altri… e magari far entrare certi valori nella testa del loro pubblico, spalancare il mondo queer di M¥SS KETA, un mondo femminile, magari è quello il vero pugnale, la vera breccia nel muro. Voglio dire, è un album in cui convivono Elenoire Ferruzzi e Gué Pequeno».
Senza farsi mancare, in pieno stile M¥SSKETIANO, la giusta dose di dissacrante ironia.
«M¥SS è un progetto che è nato dall’eccesso, è nato eccessivo. M¥SS KETA per sua natura è portatrice di una ironia e di una prorompenza e aggressività che non potrebbe essere altrimenti. L’eccesso è il mio modo di esprimermi verso il mondo».
Forse un personaggio che si sta evolvendo in modo meno ironico e più sincero?
«Non credo che l’ironia e la sincerità siano due sentieri distinti. Ma perché, son diventata troppo seria? M¥SS è sempre stato e sempre sarà un progetto ironico basato su un certo tipo di linguaggio grottesco, satirico, super-caricaturale. Noi ci siamo sempre impegnati dal punto di vista artistico. Ora forse ci sono stati dei passaggi che ci hanno fatto prendere sul serio anche da chi non ci credeva seri».
L’eccesso, ovviamente, è intrinsco e inseparabile dal personaggio di M¥SS («Non avrei una mortadella sul tavolo, altrimenti»). Ma la copertina rimanda a citazioni cinematografiche di un certo calibro: la Valeria Marini in Bambola di Bigas Luna, ma anche le atmosfere erotiche à la Tinto Brass e l’estetica di un anime giapponese. I più accademici si scervellano: che cosa si nasconde dietro questa cover?
«Il significato è che io amo gli affettati – e ride – Scherzi a parte, volevo mostrare una M¥SS KETA potente e consapevole del proprio corpo e della propria immagine. In più, tutti quanti amiamo la mortadella. E Valeria Marini».