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Cosa succede tra un atto e l’altro? I leggeri traumi poetici di Beatrice Meoni

Studio di Beatrice Meoni, fotografia di Nicolò Cecchella Studio di Beatrice Meoni, fotografia di Nicolò Cecchella
Studio di Beatrice Meoni, fotografia di Nicolò Cecchella
Studio di Beatrice Meoni, fotografia di Nicolò Cecchella

Cosa succede tra un atto e l’altro?

Lo studio è affollato, ma raccolto in un’unica ampia stanza, come una piccola città circondata da mura che si riconosce nelle persone che la abitano, presenze che mettono in scena avvenimenti, episodi minimi, trascurabili dalla cronaca fino al momento di un omicidio violento o della caduta di una meteorite tra l’ortolano e la banca commerciale.

A Sarzana, dietro a piazza Matteotti dove al centro compare un monumento dedicata ai caduti di tutte le guerre: si entra da un piccolo vicolo quasi sempre in ombra, uno spazio abbastanza grande anche se quasi interamente occupato dai suoi abitanti: oggetti sparsi, spezzati e rincollati, tavole in legno, tavole in marmo. Un camino sulla sinistra, adesso spendo, con una cappa da cui si snoda un tubo lunghissimo che raggiunge il soffitto, accanto un tavolo disordinato che guarda alla parete difronte: scritte, quadri e un piccolo teatrino, probabilmente l’inizio della narrazione. Un drappo sostenuto da due spilli, un drappo che fa da sipario, una piccola onda segnala la sua funzione essenziale: presentare qualcosa, innescare una relazione tra contenuto e fruitore. Sotto una mensola in legno e appoggiate due lastre in marmo, una pittura leggera che disegna due gambe e in mezzo un vuoto, una pausa. Due gambe spezzate, su due piccoli pezzi di marmo. Non c’è movimento sotto al drappo, solo due arti che guardano in direzione opposta. Beatrice Meoni inizia ad appendere delle tavole sulla parete, vicino al teatrino, come se lo spettacolo fosse iniziato e le scene dovessero succedersi, una dopo l’altra. Opere che testimoniano delle cadute, corpi rappresentati nel goffo incespicare di un trauma, corpi all’ingiù, avvolti su sé stessi, rotti o malconci. Cadute che si moltiplicano.

Studio di Beatrice Meoni, fotografia di Camilla Santini
Studio di Beatrice Meoni, fotografia di Camilla Santini

Cosa succede tra un atto e l’altro? Cosa succede appena dopo una caduta o nell’atto stesso di cadere? Cosa succede nel momento del trauma quando il corpo si mostra in una posa insolita, non calcolata?

È un intervallo che va ricomposto e per ricomporlo va messo in scena, va visto in successione, più cadute, più intervalli, più spazi interstiziali. Ci sono due bastoni appoggiati alla parete, mi racconta che fanno parte dell’ambiente, che li sposta all’interno della stanza. Oggetti totemici, oggetti che simulano un sostegno, un appoggio. Legno e osso, inglesi. Tutto rientra nella stessa storia, mi volto, guardo gli oggetti appoggiati a mobili o tavolini. Ceramiche rotte, tazze, teiere, piatti, superstiti maciullati da cadute a terra e ricomposti trovando nuove soluzioni: deformi, inutilizzabili, a volte aggraziati, sempre inutili. Pezzi di porcellana bianca, a fiori, manici di tazzine, di vassoi, incollati come se tornare indietro fosse impossibile, nessun tipo di restauro conservativo.

Studio di Beatrice Meoni, fotografia di Camilla Santini
Studio di Beatrice Meoni, fotografia di Camilla Santini

Inizia a parlare di Virginia Woolf, del suo libro Between the Acts, di cosa possa succedere tra due episodi, tra due scene, tra l’istante prima e l’istante dopo una caduta. La sua pittura, o meglio quello che adesso vedo a parete, ruota tutta intorno a questo, traduce quell’esatto momento in cui il corpo si rende conto del proprio peso e accenna ad una resistenza inutile. Un colore sfumato, quasi allungato come se stesse cedendo o cadendo lui stesso, un colore in movimento che rende irriconoscibili i volti, perché è l’atto stesso, è il transito ad essere narrazione.

Vicino al teatrino, sopra ad un mobile, sono appoggiati altri drappi, uno giallo, quasi trasparente. Beatrice sostiene che le serva come punto luce, come materia utile a modificare la parete. Lo prende in mano, lo avvicina al muro bianco, ogni suo progetto è un romanzo breve. Guardiamo il tessuto giallo, in effetti cambia tutto. Non so che rapporto possa avere con le altre opere, con il teatrino, con Virginia Woolf, con le tazze incollate con pezzi di piatti, ecc.

Cosa succede tra un atto e l’altro?

Una caduta è un trauma, appoggiare un pezzo di stoffa gialla ad una parete bianca è un trauma, sedersi vicino ad un’altra persona in treno è un trauma.

Conto i secondi di silenzio in cui Beatrice ha in mano la stoffa, non possiamo dire nulla, come non si dice nulla quando si cade, non si ha la forza, non si ha il tempo, si cade e basta.

Walking, Beatrice Meoni, fotografia di Camilla Santini
Walking, Beatrice Meoni, fotografia di Camilla Santini

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