Ludovica Carbotta è una delle due artiste italiane invitate al Padiglione Internazionale della Biennale di Venezia 2019. La sua opera Monowe è un progetto in divenire che costruisce i frammenti architettonici di una città abitata da un solo individuo. Qui qualche anticipazione su ciò che ci aspetta.
Diogene è stato un pensatore fitto e controverso, tanto che si guadagnò il soprannome di Socrate pazzo. Iniziatore della scuola cinica, al filosofo greco antico si attribuisce la prima manifestazione del concetto di cosmopolitismo. «Sono cittadino del mondo intero» era la risposta che Diogene rivolgeva a chi lo interrogava circa la sua provenienza. Un’affermazione sorprendente per un’epoca in cui l’identità dell’uomo cresceva intimamente legata a quella del luogo natale o della polis d’appartenenza. Diogene coltivò invece uno spirito individualista, di mutua cooperazione, ma anti-politico: temeva la deriva autoritaria della conformazione comunitaria, del falso collettivismo.
“Ci chiudiamo per paura, ma nella solitudine a volte possiamo trovare noi stessi” racconta Ludovica Carbotta, alla quale la figura di Diogene non è indifferente. Cosmopolita al tempo delle città stato, il filosofo ammiccò all’alienazione per timore, per amore proprio, per salvaguardia personale. Appartenere al mondo per non appartenere a nulla, ingrandire la scala del nostro spazio per perderci in esso. L’artista, invitata quest’anno al padiglione internazionale della Biennale d’Arte di Venezia, guarda al pensatore greco e ne deriva l’atteggiamento critico verso la realtà circostante e inizia a fare sua quell’analisi sul singolo all’interno della grande dimensione, della solitudine circondata da persone, della ricerca individuale nel caos di una collettività anonima.
Nasce così Monowe, l’opera in divenire che costruisce palazzo per palazzo, strada per strada, una città abitata da un unico individuo. Dal 2016 Carbotta progetta i luoghi di questo spazio urbano solitario che lentamente prendono forma e compongono una metropoli a disposizione di un unico uomo: dimensione vasta di ricerca e difesa, di esplorazione e nascondiglio. Il conflitto dialettico tra le due spinte opposte, quella alla socialità e all’isolamento, si declinano nei vari frammenti architettonici di questo paese spettrale: la porta di accesso, la fabbrica, il museo, la torre di guardia. Strutture sociale che si fanno invece ospitanti dello strano percorso eremitico dell’individuo in crisi, troppo impaurito per andarsene ma troppo insicuro per partecipare attivamente alle dinamiche cittadine. Norme e convenzioni, proprio come nel pensiero di Diogene, sono annullate dall’evaporare della collettività.
In occasione della Biennale Ludovica Carbotta presenterà due nuovi capitoli del suo racconto urbano: all’Arsenale la sua analisi verterà sul bisogno di controllo e di protezione, mentre a Forte Marghera il progetto delineerà un luogo della mente, dedicato alla psicologia. Fino al 6 ottobre inoltre, saranno in esposizione alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino gli edifici di Monowe realizzati fino ad ora, per la prima volta insieme. Un’occasione unica per addentrarsi nell’intreccio di installazione, scultura, scrittura e performance che l’opera amalgama nella sua personale ricerca culturale.
*Ludovica Carbotta. Monowe. Exhibition view at Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino 2019. Photo credits Giorgio Perottino