Cento opere dei maestri veneti, da Tiziano a Bassano, passando per Andrea Schiavone e Sebastiano del Piombo, raccontano l’evoluzione di una scuola pittorica fra le più importanti del Cinquecento. Con Roma e Firenze, Venezia fu uno dei cardini del Rinascimento, anche grazie ai suoi pittori. Allo Städel Museum, fino al 26 maggio 2019 a Francoforte sul Meno.
Francoforte sul Meno. La Venezia del Cinquecento, dall’alto della sua potenza marinara, costituiva uno dei più floridi Stati Italiani; grazie ai lucrosi commerci con l’Oriente e a produzioni di artigianato artistico di cui possedeva il monopolio (celebri ad esempio i vetri di Murano), la Serenissima poteva vantare grandi ricchezze che il ceto aristocratico e mercantile reinvestiva anche nell’arte, dando vita a un dinamico mecenatismo che trovava similitudini soltanto a Roma e Firenze. L’Italia toccò il suo apice civile, con lo strettissimo connubio fra cultura e politica che riuscì a far breccia persino nella gerarchia ecclesiastica. Tiziano, Palma il Vecchio, Sebastiano del Piombo, Lorenzo Lotto, Tintoretto, Jacopo Bassano, Veronese, furono alcuni dei protagonisti di quella splendida stagione che accrebbe ulteriormente il fascino di Venezia nel mondo; accanto alla muscolarità di Michelangelo – che Vasari definì, con una certa dose di toscano campanilismo, l’apice del Rinascimento -, si sviluppò una pittura che ebbe in Tiziano Vecellio il capostipite del manierismo veneto.
Allievo di Giovanni Bellini, ma ispiratosi anche a Vittore Carpaccio e Lorenzo Lotto, La sua modernità risiede nel primato del colore materico che sostituisce quello del disegno, che invece era preminente per Michelangelo, e anticipa il naturalismo ottocentesco. Nel segno della continuità con Tiziano, gli anni Quaranta del Cinquecento videro l’affermazione di una nuova generazione di artisti di grande talento, tra cui Jacopo Tintoretto, Paolo Veronese e Jacopo Bassano, che contribuirono notevolmente all’evoluzione della pittura veneta e italiana rinascimentale, non soltanto a livello di stile, ma anche a livello di genere. Ai veneti infatti si deve l’invenzione della pittura di paesaggio; la pittura italiana era stata, fino alla prima metà del Cinquecento, a carattere religioso, mitologico o ritrattistico; lo sfondo, il paesaggio, non avevano sin qui riscosso l’interesse degli artisti. L’iniziatore era stato Giorgione (la cui Venere dormiente ispirerà a Tiziano, che vi collaborò, la Venere di Urbino), che nella celeberrima Tempesta eleva la natura a protagonista dell’opera.
Sulla sua scorta, pittori quali Tiziano, Palma il Vecchio, Paris Bordone, danno vita a una nuova stagione pittorica di riflessione sul rapporto dell’individuo con la natura, indagata nei suoi aspetti misteriosi e femminili, espressioni di una realtà infinita di cui l’umanità è soltanto una minuscola parte. Natura intesa come presenza femminile e origine della vita, suo scrigno prezioso, che adesso, pur accompagnando le scene principali con figure umane, viene valorizzato nei suoi particolari, nei suoi giochi di luci e ombre, nelle sue atmosfere idilliache o misteriose misteriose. Infatti, Tiziano e Palma il vecchio propendono per una rappresentazione dai toni lirici, mentre assai più drammatico e oscuro è il paesaggio di Veronese e Bassano. Questi differenti approcci gettarono le basi per la nascita, nel Seicento, della pittura paesaggistica come genere indipendente. Se, all’apparire di questi sfondi naturali sempre più imponenti la scuola veneta subì l’ingiusta accusa di mera imitazione del paesaggio, a confutarla definitivamente intervenne Tiziano con la cosiddetta “ultima maniera”, ovvero la fase più matura della sua pittura: quella rapida pennellata che lascia ampi tratti di “non finito”, suggerisce l’essenza della natura come un qualcosa in eterno movimento e sottoposta a costante cambiamento, e pertanto non facilmente conoscibile e definibile dall’intelletto umano. Non si tratta di sconfessare il razionalismo neoplatonico, ma, più semplicemente, di comprenderne i limiti, cominciando a “sospettare” che né l’umanità né la Terra siano il centro (anche ideale e morale) dell’universo.
La mostra di Francoforte, Tiziano e il Rinascimento a Venezia, celebra la vitalità di una scuola pittorica intrisa di poesia, la cui eredità non si esaurì con gli immediati successori, ma riverberò la sua aura fino alla fine dell’Ottocento. Quella natura in parte misteriosa, così come la dipinge in particolare Jacopo Bassano ispirerà, oltre un secolo più tardi, Alessandro Magnasco, per il quale la solenne magnificenza della Natura sembra essere l’unica Arcadia dove cercare scampo dalla violenza e la malvagità dell’uomo. Alla stregua di tutta l’esperienza artistica italiana del Rinascimento, anche la pittura veneta del Cinquecento fu presa a modello in tutta Europa, in particolare la “maniera veneziana” affascinò Rubens, El Greco, Géricault, come documenta la mostra con alcuni confronti nella sezione finale. Mancano però riferimenti all’influenza dei veneti sui Preraffaelliti, i quali, nel professare il ritorno alla purezza antica guardarono a Tiziano, Veronese, del Piombo; a questi si riferì in particolare, Dante Gabriele Rossetti guardò: la sua Monna Vanna è infatti “figlia” della cinquecentesca Dama in blu, nella pienezza del volto, nella posa di tre quarti.
A differenza del Rinascimento fiorentino, più strettamente filosofico intriso com’era di Neoplatonismo, o di quello Romano paganeggiante e celebrativo di Papi e Cardinali, quello veneto ha un carattere che si potrebbe definire borghese, non avendo né un potere ecclesiastico da riverire (celebra nella storia l’anticlericalismo della Serenissima), né una dinastia regnante che tracciasse una linea culturale; a Venezia i veri nobili erano i mercanti e gli ammiragli, espressioni di una società più moderna che altrove, dove il merito e la capacità avevano più importanza del censo, ed è fra questi uomini che la Repubblica sceglieva i suoi quadri e i suoi funzionari. Una mentalità che sviluppò un maturo gusto per un’arte che non fosse soltanto agiografia o letteratura. Nella ritrattistica femminile in particolare, emerge l’omaggio a un’idea di bellezza che ricorda, nel concetto, l’elogio delle donne pratesi del Firenzuola; la potenza erotica che emerge dalle donne di Paris Bordone, Bartolomeo Veneto, oltre che Tiziano, rappresentano l’omaggio a una bellezza carnale non più soltanto mitologica, ma anche e soprattutto terrestre. L’essenza del Rinascimento passa anche da qui, da un’iconografia votata alla rappresentazione dell’individuo in quanto essere autonomo e razionale, che se non è ancora un cittadino a tutti gli effetti, nel moderno senso democratico, sta comunque cominciando a perdere i suoi caratteri di “suddito”.
*Jacopo Palma il Vecchio, Two Reposing Nymphs, c. 1510–15 Frankfurt am Main, Städel Museum © Städel Museum – ARTOTHEK