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“Il prima, l’adesso, il sempre”. La Crocifissione di Masaccio eccezionalmente esposta a Milano

Masaccio, Crocifissione, 1426, dett., tempera su tavola, 83×63 cm, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

 

Masaccio, Crocifissione, 1426, dett., tempera su tavola, 83×63 cm, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

Fino al 7 maggio 2023 La Crocifissione di Masaccio sarà esposta nella capitale lombarda in via del tutto eccezionale, grazie alla collaborazione scientifica del Museo e Real Bosco di Capodimonte e il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano: una rarissima occasione per ammirare una delle pietre miliari della storia dell’arte, al di fuori della sua consueta sede espositiva.

Il Museo Diocesano di Milano dedica un evento espositivo irripetibile ad Alberto Crespi, raffinato collezionista recentemente scomparso, che nel 1999 donò all’istituzione meneghina la sua importante raccolta di quarantuno opere su fondo oro, alle quali si aggiunge eccezionalmente, in un percorso espositivo interamente dedicato, la Crocifissione di Masaccio, conservata al Museo e Real Bosco di Capodimonte.

L’esposizione temporanea, curata da Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano di Milano e Alessandra Rullo, conservatrice del dipartimento dipinti e sculture del XIII, XIV e XV secolo del Museo di Capodimonte, pone un approfondito focus su una delle opere cruciali della cultura figurativa europea ricostruendo, attraverso pannelli descrittivi e installazioni immersive, l’incredibile storia di un capolavoro, dalla sua genesi alle complesse vicende che interessarono il celebre polittico a cui la tavola appartenne.

mostra Michelangelo Pistoletto al Chiostro del Bramante
La Crocifissione di Masaccio al Museo Diocesano di Milano

La commissione del polittico al giovane Masaccio si deve al notaio Giuliano di Colino di Pietro degli Scarsi per la sua cappella nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Pisa, il quale nel diario dei lavori testimonia il corso della complessa realizzazione dell’opera, nonchè la presenza dell’artista nella città di Pisa dal 19 febbraio del 1426 fino al 26 dicembre dello stesso anno. La documentazione dà inoltre notizie circa l’iconografia dell’opera nelle diverse tavole che la componevano e sulla sua collocazione originaria: una cappella addossata al tramezzo della chiesa, come testimonia Giorgio Vasari nell’edizione giuntina delle Vite del 1568:

“Nella chiesa del Carmine di Pisa, in una tavola che è dentro a una cappella del tramezzo, è una Nostra Donna col Figliuolo, et a’ piedi sono alcuni angioletti che suonano, uno de’ quali sonando un liuto porge con attenzione l’orecchio all’armonia di quel suono; mettono in mezzo la Nostra Donna San Piero, San Giovanni Battista, San Giuliano e San Nicolò, figure tutte molto pronte e vivaci. Sotto, nella predella, sono di figure piccole storie della vita di quei santi e nel mezzo i tre Magi che offeriscono a Cristo; et in questa parte sono alcuni cavalli ritratti dal vivo, tanto belli che non si può meglio desiderare; e gli uomini della corte di que’ tre re sono vestiti di varii abiti che si usavano in quei tempi. E sopra, per finimento di detta tavola sono in più quadri molti santi intorno a un Crucifisso”.

Poco più tardi della preziosa testimonianza vasariana, intorno agli anni ottanta del XVI Secolo, il prezioso polittico venne smantellato e smembrato in seguito alla demolizione della cappella che lo conservava. La struttura, addossata al tramezzo, subì infatti il medesimo destino della recinzione architettonica, che per conformità alle nuove istanze liturgiche controriformistiche, venne inesorabilmente distrutta, in nome di un rinnovato coinvolgimento dei fedeli all’interno dello spazio sacro unificato. Intrapresa la strada del mercato collezionistico, ad oggi solo alcune delle tavole distinte sono ammirabili in prestigiose istituzioni museali. Tra queste vi sono la tavola centrale con l’immagine della Madonna in trono con il Bambino e angeli della National Gallery di Londra; due delle quattro cuspidi laterali raffiguranti un San Paolo, oggi al Museo Nazionale di San Matteo a Pisa e un Sant’Andrea, al Paul Getty Museum di Los Angeles; il nucleo della Gemaldegalerie di Berlino, che comprende quattro delle tavole che decoravano la fronte dei pilastrini laterali, con Sant’Agostino, San Girolamo e due Santi carmelitani, oltre alle tre parti della predella con il Martirio di san Pietro e la Decollazione del Battista, l’Adorazione dei Magi, San Giuliano che uccide i genitori e San Nicola che dona le tre sfere dorate. Infine la splendida cimasa con la Crocifissione, conservata al Museo e Real Bosco di Capodimonte.

Proposto da un collezionista al Museo nazionale di Napoli nel 1899, con un’incerta attribuzione a Beato Angelico, il dipinto fu effettivamente acquistato dal museo nel 1901, nel quale venne classificato come opera di ignoto quattrocentista fiorentino. La restituzione del capolavoro a Masaccio avvenne solamente nel 1906, quando lo storico dell’arte Wilhelm Suida associò per primo la tavola di Napoli al polittico pisano. L’eccezionalità del dipinto, la straordinaria potenza iconografica e le ardite sperimentazioni prospettiche, a tale altezza cronologica, non possono che riferirsi alla straordinaria rivoluzione pittorica apportata nel primo Quattrocento dal genio di Masaccio, al quale si deve l’incipit del Rinascimento figurativo, instaurato all’interno degli attardamenti gotici. L’approccio di Masaccio risulta radicale, ancor di più in una soluzione iconografica che prevedeva, per volere del committente, lo sfondo dorato goticheggiante, richiamo alla dimensione sacrale di uno spazio divino smaterializzato, apparentemente insondabile, che fino a questo momento aveva irrimediabilmente costretto gli artisti alla bidimensionalità. Qui sta la rivoluzione masaccesca, capace di sfondare uno spazio inintelligibile attraverso la solida costruzione di figure umane, reali, volumetriche, monolitiche nel loro inedito plasticismo, memori dell’avanguardia scultorea di Brunelleschi e Donatello, ma soprattutto investite dal nuovo rigore prospettico. Il vertiginoso scorcio del capo del Cristo, sgraziatamente incassato nelle scapole, è in realtà un sapiente espediente dell’artista, studiato per una corretta visione dell’opera, esposta in chiesa a circa cinque metri di altezza. Così come le braccia innalzate dalla Maddalena, indimenticabile, inserita in un secondo momento dell’artista, come testimoniano le incisioni della croce, ancora visibili al di sotto della sua aureola in foglia d’oro. Questa figura enigmatica rappresenta il vero fulcro della rappresentazione, nella negazione del suo volto, nel suo accartocciarsi doloroso, che è raccoglimento privato ma al contempo manifestazione irrinunciabile del sentimento, veicolato dal grido che si innalza al cielo insieme alle sue braccia vibranti, che fendono quello spazio intangibile e infrangono il silenzio dell’eternità.

Una folgorazione figurativa che investì Giovanni Testori, anch’egli omaggiato nel centenario della nascita che ricorre quest’anno, di cui a conclusione del percorso espositivo è riportato un testo del 1989, a lirica testimonianza del suo imprescindibile acume critico:

 

“Il sunto, il punto,

il prima, l’adesso,

il sempre,

il poi.

Non sapremo noi che faccia hai avuto

mai

né quella che

voltandoti

potresti avere

ed hai.

Solo ci mostri la nuca dorata-disperata

con ordine-disordine ravviata-scompigliata.

Quasi alata, inchiodata

all’Assoluto adorato,

all’Assoluto assassinato,

urlo e silenzio,

carne e scisto,

così vicina a Cristo che ne senti l’afrore, che ne divori

l’odore,

preghiera e pianto,

dolore e canto,

l’unico tuo vanto

è di gridare senza voce:

santo, santo!”

 

 

Masaccio, Crocifissione, 1426, dett., tempera su tavola, 83×63 cm, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

 

MASACCIO. LA CROCIFISSIONE
Dal Museo e Real Bosco di Capodimonte
Omaggio ad Alberto Crespi
Milano, Museo Diocesano Carlo Maria Martini (p.zza Sant’Eustorgio, 3)
22 febbraio – 7 maggio 2023

Orari:
martedì- domenica, 10-18; chiuso lunedì

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