È al cinema Beautiful Boy, con Steve Carell, Timothée Chalamet e Maura Tierney. Padri, figli e il baratro della tossicodipendenza
Dopo il successo di Alabama Monroe, con il quale è stato candidato all’Oscar per il miglior film straniero, il regista belga Felix Van Groeningen torna al cinema con una storia vera, piena di dolore e impotenza. Il film è tratto dal romanzo di Nic Sheff, che ha raccontato la sua personale odissea di tossicodipendente (Tweak: Growing Up on Methamphetamines), e da quello di suo padre David, che ha messo nero su bianco la lotta per cercare di salvarlo (Beautiful Boy: A Father’s Journey Through His Son’s Addiction).
Protagonisti della pellicola Steve Carell (Foxcatcher, The Office), che interpreta David Sheff, e Timothée Chalamet (Chiamami col tuo nome, Ladybird), nei panni del figlio tribolato.
Nicolas Sheff ha 18 anni, è un bravo studente, scrive per il giornale della scuola, recita nello spettacolo teatrale di fine anno e fa parte della squadra di pallanuoto. Ama leggere e possiede una spiccata sensibilità artistica; in autunno andrà al college. Da quando ha 12 anni però, ama sperimentare le droghe; da qualche tempo ha provato la metamfetamina e, come lui stesso dichiara, “Il mondo, da bianco e nero, improvvisamente è diventato in Technicolor”. In breve tempo Nic, da semplice adolescente che fa uso sporadico di stupefacenti, si trasforma in un vero e proprio tossicodipendente.
Beautiful Boy è la storia, tanto onesta quanto spietata, di una famiglia che accompagna il proprio figlio nella lotta contro l’assuefazione. Basato sull’omonimo bestseller del noto giornalista David Sheff e sull’apprezzata autobiografia di suo figlio Nic, il film descrive il potere distruttivo della droga e la forza rigenerante dell’amore.
l film racconta racconta il baratro in cui Nic sprofonda, le sue assenze, le promesse tradite, la rabbia, e il modo in cui David si adopera per salvare il suo “bellissimo figlio” dalle conseguenze della dipendenza.
Beautiful Boy è un film molto rispettoso, onesto, e si pone nei confronti del tema – così doloroso e insidioso – in maniera ossequiosa. In questo modo però perde quella che potrebbe essere la sua forza narrativa, il suo carattere cinematografico. Mette in scena la frustrazione straziante insita nei meccanismi della tossicodipendenza: le bugie, la reiterazione, quel loop infermale per il quale ogni slancio di amore e di affetto sembra avere l’effetto di un frisbee: tutto ritorna al punto di partenza, ma sulle spalle ogni volt c’è una dose in più di delusione, di amarezza, di sconforto. La monotonia del dolore (ci si abitua anche a quello, si getta la spugna, si scende a patti con l’averci provato e aver perso) diventa così, purtroppo, una monotonia cinematografica.
Ottimo il cast, Maura Tierney (E.R., The Affair) è una presenza preziosa e luminosa, che riesce a regalare una delle poche scene madri in cui brilla un bagliore di vita.
Beautiful boy si fa apprezzare per la sua onestà (qualità non scontata e non da non svendere), ma il cinema che sa come raccontare grandi storie abita altrove.