In Italia non è ancora diventata una moda con un grande seguito. Ma in altri Paesi del mondo, soprattutto Inghilterra, Francia e Stati Uniti, l’arte africana contemporanea è ormai un fenomeno di incredibile successo e in continua espansione.
Artisti come il ghanese El Anatsui o il congolese Cheri Samba espongono dappertutto, da New York a Ginevra, da San Paolo a Bilbao, dal Moma al Centro Pompidou, e dietro di loro c’è già un folto gruppo di giovani (e di donne) in rampa di lancio.
Certo, fra i segreti di questo mercato fortemente vitale per gli eccellenti risultati dei suoi artisti, che suscitano sempre più l’interesse di collezionisti e musei, c’è anche il fatto che i prezzi restano abbastanza contenuti, pur se in costante aumento negli ultimi tempi: molte opere sono vendute per adesso a meno di tremila dollari. Ma c’è qualcosa di più reale e più sano fra gli artisti africani che si sta affacciando sul mercato globale rispetto per esempio ai giovani cinesi che avevano attirato una importante bolla speculativa. Questa è una storia molto diversa. E molto più concreta.
Il boom dell’Africa si può dire che sia cominciato dodici anni fa, con la creazione a Londra di un dipartimento di arte contemporanea africana da parte della casa d’aste Bonhams. Solo dopo alcune gallerie hanno cominciato a organizzare focus speciali sul segmento. In questo improvviso crescendo d’interesse, altre case d’aste di caratura internazionale, come Sotheby’s, hanno inaugurato un intero dipartimento dedicata all’arte africana moderna e contemporanea.
La prima asta di Modern and Contemporary African Art di Sotheby’s si è conclusa nel 2015 con un totale di 2.794.750 sterline, che hanno rappresentato una cifra appena superiore alla minima aspettativa, ma anche quanto bastava per realizzare il nuovo record di questa categoria, superando Bonhams, che aveva portato a un fatturato di due milioni. L’altra cosa importante di quell’evento, è che delle 79 opere aggiudicate, 28 sono finite direttamente in Africa, a testimonianza di un mercato sempre più globale e di un collezionismo africano sempre più attivo. Perché se in Inghilterra tutto è cominciato, il successo vero è arrivato solo quando la black new wave è uscita da quei confini. La Francia ha ricoperto un ruolo di primo piano in questo boom, anche perché a Parigi questo fenomeno ha goduto di una buona diffusione mediatica. Esposizioni come Beauté Congo, del 2015, alla Fondazione Cartier, e Art d’Afrique, nel 2017, alla Fondazione Vuitton, hanno poi contribuito ad avvicinare il grande pubblico. Due anni fa, un appuntamento commerciale di rilievo come Art Paris ha dedicato la sua edizione all’Africa. E nello stesso periodo alcuni nomi affermati di questa vasta corrente artistica che rappresenta un intero continente sono entrati in musei come il Met e il Moma di Nerw York, la Tate Gallery di Londra e il Pompidou di Parigi.
In questi dodici anni, come spiega bene Hannah O’Leary, head of African Modern and Contemporary Art di Sotheby’s, «abbiamo assistito a un aumento esponenziale della domanda da parte dei collezionisti». Che sono francesi, inglesi, americani, tedeschi, ma anche e soprattutto sudafricani. Se le capitali di questo mercato sono Parigi e Londra, i primi attori sono senza dubbio i collezionisti di Johannesburg. Gli artisti africani partecipano a rassegne in tutto il mondo, a Venezia, Bilbao, New York, Washington, San Paolo. Le loro opere evocano quel senso di appartenenza a un continente che è l’origine di un cammino dell’uomo.
Ma c’è anche qualcosa di primitivo e diverso, che sembra sedurre collezionisti e musei. La Biennale di Venezia del 2015 ha riservato un’attenzione del tutto particolare a questo fenomeno con l’assegnazione del Leone d’oro alla carriera al ghanese El Anatsui. In Italia, come ammettono alla Primo Marella Gallery di Milano, «non c’e ancora una sensibilità adeguata». Ma pure da noi l’interesse sta cominciando a crescere. D’altro canto alcuni di questi artisti della black new wave sono ormai famosi in tutto il mondo. Toguo piace soprattutto in Francia, ma le sue opere sono già entrate in collezioni come la Barbier Mueller di Ginevra, la Burger di Hong Kong, la Tate Gallery a Londra, il Centre Pompidou e la Fondazione Vuitton. Si tratta di un artista che lavora su più piani, dalla pittura alla scultura, dall’installazione alla fotografia. Sono tanti quelli come lui che godono di buona fama e di ottimo mercato. Da Kudzanai Chiurai, celebre per le provocatorie immagini fotografiche dedicate al presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ai sudafricani William Kentridge e Win Botha, da Konaté a Cissé. Il più vecchio fra loro è El Anatsui, classe 1944, da Anyako, Ghana, che riuscì a farsi un nome grazie a giganteschi assemblaggi di migliaia di bottiglie e lattine di alluminio, cucite fra loro con del filo di rame, realizzando così vere e proprie sculture metalliche. Nelle sue opere utilizza anche legno, argilla e altri metalli e ultimamente ha iniziato a lavorare pure con i tessuti.
In Abdoulaye Konaté, invece, dal Mali, 66 anni, il tema principale è il rapporto tra ambiente e società, realizzato combinando le tecniche della pittura e dell’installazione, in modo da creare opere maestose, dal grande impatto visivo. Il più famoso di tutti, forse, è Cheri Samba, 63 anni, Repubblica Democratica del Congo. Ha cominciato in gioventù con i fumetti, prima di passare alla pittura, dedicandosi ai grandi problemi africani. Nelle opere più recenti raffigura sempre più spesso se stesso. In questo gruppo ci sono anche delle donne, come Sokari Douglas Camp, nigeriana di 58 anni che vive a Londra, capace di creare sculture d’acciaio molto particolari, e la sudafricana Tracey Rose, 45 anni, che porta in giro per il mondo installazioni, performance, e video art, usando anche il proprio corpo. Poi ci sono gli emergenti, come Omar Ba, classe 1977, dal Senegal. E le promesse: il tunisimo Chamek e l’algerino Massinissa Selman. Occhio a questi nomi.