È rimasto uno dei pochi contenitori-produttori di mostre come Dio comanda, perlomeno in Italia. Studio, serietà, scientificità. Palazzo Strozzi a Firenze si conferma esemplare valorizzatore critico e consapevole della storia dell’arte, inimitabile quando tratta del quattro-cinquecento toscano, discutibile quando dà spettacolo con le sfilate contemporanee modello Abramović e Ai Weiwei (bellissima invece per esempio Bill Viola). Le vette raggiunte dalle divergenti vie della maniera di Rosso e Pontormo del 2014 e quelle toccate dall’epopea cinquecentesca fiorentina del 2017 non hanno eguali.
Quest’anno con la monografica su Verrocchio (aperta fino al 14 luglio) si compie un altro capolavoro espositivo, che segna un punto imprescindibile per gli studi su Andrea di Michele di Francesco Cioni (Firenze, 1435 ca-Venezia, 1488) e sulla dinamico-vulcanica Bottega da lui fondata, tassello fondamentale della storia dell’arte, quasi sempre sbrigativamente liquidata come “fucina dove si formò Leonardo” e poco altro.
Una mostra che fa piena luce su una delle figure chiave del Rinascimento, su cui ha perennemente pesato il fardello ombra dell’allievo (Leonardo) e la sminuente menzione storico-critica di Vasari (eccesso di studio e artificio formale a discapito della verità dei sentimenti, ossia: tanto impegno, poco genio). Riferimento ingeneroso. Verrocchio, lo ricordiamo, fu ingegno eclettico e poliedrico (“orefice”, “dipintore”, “architettore”, “scarpellatore”, “lapidarius”, “marmorarius” e pure “intagliatore”), modello precursore dell’universalità di Leonardo, attivo nella seconda metà del Quattrocento prevalentemente a Firenze (ma anche a Roma e Venezia). Fu tra coloro che invasero di luce serena i paesaggi rispondendo magistralmente alla sfida mimetica (spesso pedante) dei pittori fiamminghi.
Nato orefice, fu immenso scultore (massimo bronzista) e più tardi ottimo pittore. Indagatore di innovative soluzione formali, sperimentò nella sua bottega tecniche e materiali diversi, dal disegno alla scultura in marmo, dalla pittura alla fusione in bronzo. Formò un’intera generazione di maestri, con i quali sviluppò e condivise il proprio sapere. Una figura cruciale -di cerniera, detto in maniera riduttiva- tra l’opera di Donatello (scultura) e Filippo Lippi (pittura), e l’avvento della Maniera Moderna. Dalla sua opera (e fucina) attinsero direttamente o indirettamente figure come Pinturicchio, Perugino, Botticelli, fino agli allievi dei suoi allievi: Raffaello e Michelangelo.
In mostra le opere di Verrocchio sono esposte accanto a quelle di precursori, artisti a lui contemporanei e discepoli, come Desiderio da Settignano, Domenico del Ghirlandaio, Sandro Botticelli, Pietro Perugino, Bartolomeo della Gatta, Lorenzo di Credi e Leonardo da Vinci.
Visto e considerato il panorama espositivo autunnale prospettatoci (unica realtà-evento che potrebbe metterne in discussione il primato, la grande mostra su Giulio Romano a Mantova a ottobre) e visitata con massima dedizione la mostra, possiamo dire con certezza che l’esposizione su Verrocchio (“Il maestro di Leonardo”) a Palazzo Strozzi è (e sarà) la mostra dell’anno. La più curata, riuscita, e di sicuro la più importante a livello storico-artistico, anche perché trattasi di una prima assoluta mondiale. Si fanno sentire (in maniera del tutto positiva) i 5 anni di lavoro e studio nella preparazione della mostra.
Una mostra assolutamente di altissimo livello, per tutta una serie di motivi che di seguito elenchiamo:
– a parte i molti dubbi su attribuzioni secche e perentorie, in primis la Madonna col Bambino di terracotta del Victoria & Albert di Londra data sicura a Leonardo, e non solo lei, la mostra nel complesso offre uno spaccato preciso, selezionato ed esaustivo (120 opere tra dipinti, sculture e disegni) di quella che è stata una delle botteghe più feconde ed eclettiche della storia dell’arte, un affresco sulla produzione artistica a Firenze tra il 1460 e il 1490, l’epoca di Lorenzo il Magnifico di cui ha plasmato gusti e stili;
– illustra, quindi, l’importanza somma della sua Bottega nel panorama rinascimentale (non solo fiorentino): dal metodo di lavoro alla formazione, dalle attività alle committenze;
– è la prima mostra, come sopracitato, dedicata interamente all’artista;
– è curata da due tra i maggiori esperti del Quattrocento, Francesco Caglioti e Andrea De Marchi;
– è accompagnata da un denso ed elegante catalogo (Marsilio) composto dai due saggi dei curatori e da schede critiche dettagliate di ogni opera esposta;
– l’allestimento è schietto e puntuale, dall’illuminazione ai pannelli esplicativi (efficace anche il documentario prodotto da Sky Arte per l’occasione, riprodotto al principio della mostra);
– lo sviluppo della mostra: un filo cronologico che raduna temi e generi frequentati da Verrocchio e bottega;
– il calibrato equilibrio tra scultura e pittura, con corredo calzante di disegni;
– i confronti e i dialoghi (i busti e le effigi marmoree di eroi e eroine, le movenze, le pose, le mani… scolpite da Verrocchio, disegnate da Leonardo in punta d’argento e punta di piombo come recita la prima sala), le “sfilate” (mirabile quella che contrappone pittura e scultura sul tema della Madonna con Bambino), e le sezioni, come quella dedicata al “panneggio”, quel “piegar de’ panni” nel quale si sfidarono Leonardo e Verrocchio a catturare su tele di lino l’effetto della luce sui panni, simulato con stoffe bagnate plasmate su manichini;
– la qualità sempre elevata dei pezzi (con picchi assoluti, vedi la Madonna del mazzolino, il Putto col delfino, l’Incredulità di San Tommaso, la Madonna di Volterra e il David solo per citare opere di Verrocchio, a cui aggiungiamo la Madonna di Piazza, realizzata in collaborazione con Lorenzo di Credi);
– la campagna di restauri, che ha permesso di salvaguardare opere identitarie della città di Firenze come il Putto col delfino di Palazzo Vecchio;
– i prestiti, provenienti da una trentina di istituzioni estere e altrettante italiane, e la collaborazione ottimale con il Museo del Bargello (dove sono allestite due sezioni speciali dedicate al Verrocchio che concludono il percorso espositivo della rassegna) e la National Gallery di Washington;
– il dialogo con istituzioni e realtà del territorio, dalle pievi locali agli Uffizi;
– ultima cosa, non da poco: in questa ipertrofia espositiva inutile volta a celebrare il cinquecentesimo anniversario della morte di Leonardo, la mostra gli rende omaggio attraverso il suo maestro, Verrocchio, senza retorica e spettacolarizzazione.