A 125 anni dalla scomparsa, la Nationalgalerie celebra Gustave Caillebotte, in una retrospettiva di confronto con opere di pittori impressionisti provenienti dalla sua collezione. E per la prima volta a Berlino, da Chicago il capolavoro Rue de Paris, temps de pluie. Fino al 15 settembre 2019.
Berlino. Pittore impressionista sui generis e collezionista, dall’agiata ma sfortunata vita familiare fino alle prematura scomparsa, Gustave Caillebotte (1848 – 1894) è stato un personaggio importante nella Parigi del secondo Ottocento, che molti si adoperò per tramandare ai posteri l’eredità del movimento fondato da Monet.
Nato da una ricca famiglia borghese (il padre era imprenditore tessile e giudice del tribunale del commercio), poté dedicarsi con agio alla pittura, per la quale sentiva un’autentica vocazione. Terminato il servizio militare, con la sfortunata coincidenza della guerra franco-prussiana (alla quale riuscì comunque a sopravvivere), frequentò le lezioni di Léon Bonnat all’École des beaux-arts a partire dal 1872, ma appresi i rudimenti del disegno e della pittura, rigettò i modelli accademici preferendo la modernità di Degas e De Nittis, che conobbe al Café Guerbois assieme agli altri membri del gruppo impressionista. In quelle animate serate a Batignolles, meditò con attenzione la direzione della sua pittura, che sentiva dover essere moderna, specchio delle nascenti luci della città, del suo frenetico ritmo quotidiano, delle nuove architetture che ne modificavano il panorama. Per questa ragione Caillebotte non possiede la grazia sensuale di Renoir o Degas, il tocco mondano di De Nittis, Boldini, Manet, o le fantasmagorie coloristiche di Monet. La città, più della figura umana, è la vera protagonista delle sue tele, con i nuovi viali alberati voluti da Haussmann, gli arditi ponti ferroviari in ferro e le vaste piazze.
A differenza di tutti gli altri colleghi impressionisti, gli studi di luce e la pittura en plein air non destarono il suo interesse, e rimase sempre legato a una rigorosa metodologia preparatoria: prima di ogni dipinto eseguiva infatti il disegno, talvolta anche più di uno (come del resto dà conto la mostra, esponendo i numerosi studi preliminari a matita). Lo stile di Caillebotte non si caratterizza nemmeno per la leggerezza d’insieme che è propria invece, ad esempio, di Degas, Renoir e Monet; i suoi quadri, in particolare le vedute urbane, possiedono una solidità d’insieme al punto che possono essere accostati ai romanzi di Zola così come le pitture di Degas sono accostabili agli scritti di Baudelaire. Il suo approccio all’Impressionismo possiede infatti caratteri di spiccato realismo, stante anche il suo interesse per la fotografia (che Nadar stava rapidamente diffondendo in città), da cui riprese lo stile delle inquadrature. Con Baudelaire, Caillebotte condivideva tuttavia la volontà di raccontare il lato epico della moderna quotidianità, donando dignità artistica ai canottieri sulla Senna, ai posatori di parquet, alla folla che passeggia nella pubblica via. A caratterizzare questo approccio, un’inquadratura della scena apparentemente casuale e la sorprendente immediatezza dell’immagine. Anche le scene degli interni borghesi, pur eleganti, rispetto a quelli, ad esempio, di Boldini, destano un’idea di freddezza, come appunto presa da una lastra fotografica. E la sua tavolozza predilige colori tenui, quando non scuri, esaltando quel grigio che negli anni Venti doveva incantare anche Henry Miller. Anche i cieli soleggiati, in Caillebotte appaiono come velati da una sottile aura di settentrionale malinconia.
Caillebotte scomparve purtroppo a soli 46 anni, a causa di problemi ai polmoni, ma nel 1874 e nel 1876 aveva già persi il padre e un fratello. Ma nonostante la sua breve vita, riuscì a lasciare il segno; perché non fu soltanto pittore, ma, date anche le sue agiate condizioni, fu anche attivo collezionista delle opere dei colleghi, che acquistava anche per alleviare le loro difficoltà economiche. La mostra berlinese è anche occasione per ammirare un nutrito corpus di capolavori provenienti dal suo patrimonio privato, quello stesso che con lungimiranza aveva donato per testamento allo Stato francese, con questa specifica clausola: «Io dono allo Stato i dipinti che possiedo; tuttavia, siccome voglio che questo dono sia accettato nella misura in cui le opere non finiscano in una soffitta o in un museo di provincia, ma finiscano prima al Luxembourg e poi al Louvre, è necessario che trascorra un po’ di tempo prima che questa clausola venga eseguita, e cioè fino al momento in cui il pubblico non dico che capirà queste opere, ma almeno le accetterà». Nobile gesto di un artista che crede nell’opera sua e dei colleghi, e che ha contribuito in maniera sostanziale alla conservazione e alla conoscenza di una stagione artistica che ha avuto importanti riflessi sui successivi sviluppi dell’arte europea. Per questa ragione il contributo di Caillebotte dev’essere valutato non soltanto in prospettiva strettamente pittorica, ma anche alla luce di una più ampia visione umanistica.