Natura e tecnologia si confondono sul limite tra realtà e immaginato nella mostra che aprirà il 13 settembre al Pirelli HangarBicocca. A Leaf-Shaped Animal Draws The Hand raccoglie 20 opere di Daniel Steegmann Mangrané, in mostra fino 19 gennaio a Milano.
«Cerco sempre di raggiungere il momento in cui lo spettatore non sta osservando l’opera d’arte ma la sua stessa esperienza»
Daniel Steegmann Mangrané
Lungo questo bilico si muove la produzione di Daniel Steegmann Mangrané, nato in Spagna nel 1977 ma residente a Rio de Janeiro, artista eclettico interessato a trasportare il suo pubblico all’interno di un’esperienza più a che a porlo passivamente davanti ad un’opera. Per questo sfrutta una grande varietà di media come il disegno, l’installazione, la fotografia, la scultura, il film, il video, gli ologrammi e la realtà virtuale al fine di creare i precisi presupposti per stimolare la creazione di un’atmosfera particolare. Natura e tecnologia si rincorrono intrecciandosi negli audaci progetti espositivi con cui Steegmann Mangranè lavora sui meccanismi percettivi del visitatore, ponendolo in connessione con se stesso, l’ambiente e la collettività.
Grandi partizioni in tessuto bianco trasparente scenderanno dal 12 settembre al 19 gennaio al Pirelli HangarBicocca di Milano per separare le varie sezioni di A Leaf-Shaped Animal Draws The Hand. La mostra, a cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli, è concepita come un’installazione site-specific dove queste membrane fluttuanti introducono il visitatore agli spazi evanescenti dove risiedono le opere. Un trapasso verso una dimensione irreale dove assorbire il carattere delle opere e lasciarsi pienamente coinvolgere dal loro messaggio.
Sono 20 i lavori esposti, tra cui una delle sue prime opere tutt’ora in corso: Lichtzwang (1998–in corso), è una serie composta da centinaia di acquerelli con disegni geometrici e astratti che costituiscono la genesi della sua intera produzione. Nel film Phasmides(2012) l’artista esplora invece l’interconnessione tra il mondo biologico e quello artificiale attraverso l’osservazione di un fasmide, nome entomologico dell’insetto stecco, inserito in un’ambientazione in cui i confini tra realtà e finzione sembrano sfaldarsi. Questo animale è un motivo ricorrente nell’opera dell’artista, presente nel disegno a muro Morfogénesis-cripsis(2013), negli ologrammi come Holograma (estructura con bicho) (2013) o in A transparent Leaf Instead Of The Mouth (2016–2017). Quest’ultimo lavoro è concepito come un terrario dove piante e arbusti locali convivono con diverse specie di insetti stecco e insetti foglia esotici.
Convinto che l’opera debba definirsi principalmente nella mente del fruitore, piuttosto che esaurirsi in sè, costruisce spesso i sui lavori sul confine tra realtà e irrealtà, tra concreto e astratto, in modo da lasciare all’osservatore il compito di definirli. Questo aspetto è enfatizzato dall’artista attraverso la manipolazione della visione come avviene in diverse opere tra cui Orange Oranges (2001), una struttura modulare dove la percezione viene alterata da pareti realizzate con filtri colorati. I visitatori sono invitati a entrare e a spremere un’arancia: mentre osservano lo spazio circostante diventano, per gli spettatori esterni, parte dell’opera stessa. Questi effetti di trasformazione sono ancora più evidenti nel render stereoscopico di Phantom (Kingdom of all the animals and all the beasts in my name)(2015), una replica in bianco e nero della foresta pluviale. In questo scenario, l’artista crea un paradosso tra la presenza corporea del visitatore e la sua dissoluzione nello spazio.