L’artista Massimo Pastore racconta Santi Migranti, progetto fotografico pubblico nato per sensibilizzare gli osservatori sullo scottante e attuale tema
Vennero dall’Oriente, dall’Africa, dal Nord Europa… fuggirono, furono deportati, cercarono una nuova casa e una nuova vita. Non sapevano di essere santi: lo sono diventati. Ma poi, in fondo, a cosa serve un’aureola? Secondo Massimo Pastore, a ricordare che l’umanità si è sempre mossa. Sempre. Non solo oggi, tempi tumultuosi in cui il rimescolamento demografico ci coglie alla sprovvista, ci prende alla pancia. Ci fa paura. Così Santi Migranti, progetto fotografico di arte pubblica, riavvolge – di poco o di secoli – il nastro della storia per inviare un messaggio di compassione e di riflessione. Dalla stella del balletto Rudolf Nureyev, scappato dalla Russia sovietica, al patrono dei porti Sant’Erasmo, i personaggi ritratti dall’artista partenopeo indossano tutti una coperta isotermica, simbolo concreto del primo atto di accoglienza.
Cuore e culla dell’operazione è Napoli, città antica e stratificata, devota a un’infinità di forestieri: Patrizia, veneratissima “sorella di San Gennaro”, in quanto artefice di un analogo prodigio di liquefazione del sangue; Restituta, cui fu intitolata la basilica paleocristiana poi inglobata nel duomo; Gaudioso, da cui prendono il nome le catacombe nella maestosa Chiesa di Santa Maria alla Sanità. L’elenco si estende e si allunga con Santa Brigida, tra i protettori d’Europa, “appiccicata” da Pastore a Bruxelles e a Roma, in zona Parlamento; San Marco, spuntato sui muri della Giudecca nella sua Venezia… L’ultimo in ordine di tempo è il Dalai Lama, collocato all’esterno del Multicinema Modernissimo, sempre nel capoluogo campano, per iniziativa di Luciano Stella e Gerardo De Vivo.
Alcune affissioni sono state concordate, altre sono per così dire “fiorite spontaneamente”, spesso nottetempo. Un po’ come i “fogli” disseminati nelle azioni itineranti di #quiriposa, un collettivo che dalla scorsa primavera ha lasciato in varie città italiane ed europee piccoli manifesti a lutto con nomi, date e numeri delle persone annegate nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa. Meta il cui avamposto è, “naturalmente”, Lampedusa, grumo di roccia in mezzo al mare e alle polemiche. Comprese quelle che potrebbero investire qualunque artista messosi a lavorare su una tematica a dir poco scottante.
“Dal 2015 frequento Lampedusa, nel tentativo di comprendere il fenomeno accoglienza legato alle migrazioni”, spiega Pastore. “Qui ho sentito i rumori che si confondevano nella notte, al punto da non distinguere più quello di un elicottero da quello di un peschereccio. Quante notti trascorse a guardare il soffitto per la paura che potesse arrivare la notizia del ritrovamento di corpi! Nella mia mente risuonavano le voci di chi mi raccontava l’orrore del naufragio del 3 ottobre 2013, dove morirono annegate 368 persone. Nel frattempo, incontravo chi era sbarcato sull’isola, giravo di nascosto attorno al centro di accoglienza fino quasi ad entrarci, a stupirmi e piangere per le condizioni precarie in cui uomini, donne e bambini erano costretti vivere. Quella non è accoglienza! Ho guardato quegli occhi, ho calpestato quel suolo, mi sono bagnato in quello stesso mare, mi sono sporcato le mani di quella terra”.
Non temi che qualcuno ti accusi di “cavalcare l’onda”, di strumentalizzare un fenomeno così imponente e divisivo?
È un rischio che corrono tutti coloro che si esprimono su temi umani e sociali attuali. Nel corso di questi anni ci sono state tante emergenze e qualcuno mi diceva che era il momento giusto per uscire con il lavoro realizzato, ma non me la sentivo. Finché il clima politico è cambiato e, per una sorta di necessità impulsiva, mi sono allontanato dalla comfort zone dei luoghi deputati all’arte, frequentati da un’élite poco interessata al dolore degli altri. Volevo e voglio parlare alla gente di ogni estrazione sociale e, se anche una sola persona cambierà idea (ed è successo!), tutto questo avrà avuto un senso. Sono sceso per strada di notte consapevole dei rischi che avrei corso. E, se si decide di contrastare la propaganda fascista, i rischi aumentano.
L’arte contemporanea parla abbastanza, e in maniera comprensibile, di migrazioni e di integrazione?
L’arte contemporanea, soprattutto quella che si produce all’esterno, e quindi parla direttamente alla gente e non solo ai frequentatori di musei e gallerie, è piuttosto diretta e comprensibile. Mi vengono in mente le installazioni sanamente provocatorie di TVboy collocate nei pressi del Parlamento, “Koulibaly Fratello Senegalese” di Roxy in the Box nel cuore di Napoli, oppure, nella stessa città, le opere di Ormai 1968 che veste con i giubbotti rossi di salvataggio i nostri migranti in bianco e nero, quelli che partivano per le Americhe. L’arte che si trova fuori è spesso prorompente, mentre quella “interna” è spesso silente, quasi a non voler disturbare la necessità di un’estetica rassicurante.
Eppure alla Biennale di quest’anno…
A Venezia “Barca Nostra” di Christoph Büchel sembra abbandonata su un bordo dell’Arsenale, accanto ai tavolini del bar e senza nessuna indicazione. Se esponi un’opera del genere, devi esporre anche il dolore ad essa legato. Allora ho messo lì vicino uno dei manifesti #quiriposa che ricorda proprio quel naufragio, coordinate geografiche comprese. Credo tuttavia che l’arte oggi non parli abbastanza della questione migratoria, perché è un argomento che pare non interessare alla sua utenza. Una volta il direttore di un noto museo d’arte contemporanea mi disse: “L’utenza del museo non se ne importa nulla di Lampedusa e dei migranti”. C’è bisogno di azioni che possano sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi, che hanno riguardato e continuano a riguardare tutti noi.
Come riesci a far convivere santi cattolici con un fenomeno prevalentemente associato ai credenti islamici?
Il problema è nostro e della nostra “cultura”. Io mi rivolgo a chi bacia il rosario, a chi invoca i Patroni d’Europa ma poi vuole chiudere i porti, mi rivolgo a chi dimentica la nostra storia, a quel popolo di santi, poeti e navigatori. Brigida e gli altri sono simboli di umanità, per quello che hanno fatto prima ancora di diventare Santi. Persone che hanno dedicato la propria vita agli altri e diffuso messaggi amorevoli. Spesso le loro storie si fondono con quelle dei migranti di oggi che si allontanano dai propri paesi. Patrizia scappò dalla Turchia per non piegarsi ad un matrimonio impostole dal padre, Gaudioso fuggì dalla Tunisia a causa delle persecuzioni religiose, Brigida decise di trasferirsi a Roma dalla Svezia in seguito alla morte del marito. Sono storie universali. Ma “Santi Migranti” va oltre la specificità cattolico-cristiana. Il Dalai Lama per motivi politici fu costretto ad andare in India, dove ancora vive, perché gli è impedito dal governo cinese di rientrare in Tibet, pena l’arresto. Santi Migranti sono tutti coloro che per un qualunque motivo sono costretti a lasciare il proprio paese, come tutti quei giovani altamente specializzati che si trasferiscono altrove per trovare lavoro.
Anita Pepe