Le rivisitazioni di Adrian Ghenie guardano alla tradizione per riflettere in modo irriverente sul presente. Fino al 18 novembre a Palazzo Cini, Venezia.
Si era visto in laguna nel 2011 Adrian Ghenie, in una mostra collettiva a Palazzo Grassi, e poi nel 2015, anno in cui aveva rappresentato la Romania alla 56° Biennale d’Arte di Venezia. Dopo importanti conferme istituzionali in Europa e negli Stati Uniti, l’artista romeno, uno dei pittori più noti della sua generazione, torna in città con la sua prima personale in Italia, realizzata in collaborazione con Galerie Thaddaeus Ropac. Espone a Palazzo Cini un ciclo di 9 tele, tutte datate 2018 e 2019, alcune sono inedite.
Elemento ricorrente è l’acqua, richiamo al territorio veneziano ma anche l’attualità degli scenari geopolitici internazionali. The Wall, The Raft, The Drowning sono solo alcuni dei titoli delle opere in mostra in The Battle between the Carnival and the Feast – dove, oltre che un richiamo ai festeggiamenti per cui Venezia è celebre, il richiamo al Carnevale è forse anche riferimento ai suoi scenari grotteschi, che affiorano anche nelle sue tele.
Muri, acqua, corpi fluttuanti nell’acqua, ma la sensazione che di attualità si stia davvero parlando si fa più esplicita con quel trittico di ritratti – i volti cancellati e tutti “untitled” – nei quali si riconosce il presidente americano Donald Trump. Tra le tra le composizioni più d’impatto, con quel suo groviglio di arti e corpi, The Raft è la Zattera della Medusa del ventunesimo secolo, quella che attraversa ed affonda nel Mediterraneo. Le fonti iconografiche di Ghenie derivano dalla storia, da film, fotografie, dai mass media e soprattutto dal web, interminabile contenitore di immagini. Nelle sue opere unisce “ricordi personali e traumi collettivi, passati e presenti”. Fondamentale per l’artista è il potenziale visuale di un soggetto: ricerca ed estrapola da Google quelli che lui definisce “cliché” visivi, radicati nell’immaginario di massa, che poi mescola e rielabora in composizioni ambigue, a tratti leggibili e a tratti sfuggenti. I suoi ritratti sono destrutturati, cancellati; Ghenie stravolge la ritrattistica di propaganda e la svuota della sua retorica celebrativa.
Proprio come un paparazzo, dice l’artista, è ossessionato dallo svelare la texture, che nella sua pittura riconosce come uno degli aspetti più importanti, oggi sempre più invisibile: star e i politici “appaiono sempre in immagini perfettamente photoshoppate. Come delle divinità. Non hanno rughe, imprevisti, lentiggini, e il volume è sempre perfettamente illuminato”. Per costruire le sue superfici usa pennelli, stencil e soprattutto spatole per raschiare, spalmare e mixare il colore. È così che elementi riconoscibili della realtà quotidiana si stagliano in paesaggi apocalittici e conturbanti. Il risultato finale deriva da tante ed elaborate stratificazioni sovrapposte, le texture che ottiene ricordano gli esisti estetici della glitch art.
Ghenie conosce molto bene la storia della pittura prima di lui. Se in alcune opere aveva citato apertamente Van Gogh e Rothko, tutta la sua arte appare come un commento diretto a Francis Bacon, soprattutto ai suoi studi sul ritratto di Innocenzo X di Velázquez. I corpo distorto, dismorfico del pontefice è attuale poiché per l’artista romeno il nostro è un secolo è ossessionato dal corpo, nel quale la medicina, corrotta, sta intraprendendo strade rischiose; il pontefice di Bacon è inoltre simbolo della crisi della vecchia ideologia e dei valori tradizionali, motore di tutte le avanguardie del secolo scorso. Per Ghenie la tendenza attuale nel campo della pittura è quella della citazione manierista del passato. È difficile parlare di un tipo di pittura davvero innovativo: non tenta perciò di negare la tradizione precedente ma di conservarla, cercando “di arrivare a quell’immagine che non deve per forza essere scioccante, ma davvero nuova”. Ed i risultati sono sorprendenti.